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Ich bin ein Berliner


La prima volta che sono andata a Berlino era l’estate del 1990, insieme ai miei genitori. Avevo 8 anni e non ho ricordi precisi di quel viaggio se non uno, chiarissimo, del muro – di cui era iniziato da poco lo smantellamento ufficiale – ancora presente in diverse zone della città, fra cui quella antistante la porta di Brandeburgo. Ricordo alimentato dal pezzetto di storia acquistato proprio lì, che ancora fa bella mostra di sé sul comodino di mia madre.

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Dopo di allora ci ho messo 14 anni prima di tornare, per andare in visita da amici tedeschi conosciuti durante il mio Erasmus a Parigi, e poi altri due per un viaggio/convention legato al negozio dei miei genitori. Anche i ricordi di questi due weekend sono confusi e collegati più che altro a momenti ed esperienze vissuti con gli amici presenti che non alla città, ma mi avevano lasciato un’impressione di Berlino come di una città ancora in cerca di una sua nuova strada e profondamente nostalgica, soprattutto nelle zone dell’ex DDR.

 

Lo scorso weekend sono finamente tornata dandomi tutto il tempo per (ri)scoprire come la città si sia trasformata negli ultimi 20 anni. Il viaggio era il regalo per Natale fatto alla mia dolce (??) metà che, non essendo mai stato a Berlino e per un’attitudine personale – passatemi il termine – un po’ “nazi” (come raccontavo nel diario di Washington), ha ovviamente voluto fare e vedere tutto il possibile nei 4 giorni a disposizione.

 

La nostra base per i primi 3 giorni era in piena DDR, a 1 minuto dalla metro Ostbahnhof e 5 minuti a piedi dalla East Side Gallery. Ci siamo quindi incamminati lungo la Sprea verso questi 1.300 metri e oltre di muro ancora esistenti (la sezione più lunga rimasta), che sono una vera e propria galleria a cielo aperto su cui si possono ammirare le opere realizzate da artisti più o meno famosi dopo la caduta del muro.

Il muro termina in prossimità dell’Oberbaumbrücke, storico ponte a due livelli che collega il quartiere di Friedrichshein e Kreuzberg, un tempo passaggio pedonale tra Berlino Est e Berlino Ovest. Continuando ad avventurarsi a piedi fra le vie di Kreuzberg è possibile ammirare altre opere di street art più recenti sui muri dei palazzi, curiosare fra i negozietti vintage o sedersi per un drink nei numerosi bar che animano il quartiere, soprattutto di notte.

 

La nostra passeggiata è proseguita fino alla chiesa di San Michele, parzialmente distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale, prima di prendere la metro per raggiungere uno dei luoghi icona della Berlino di oggi: Alexanderplatz e la Fernsehturm (la torre della TV).

 

Dopo aver pranzato con un buon currywurst ammirando la città dall’alto, ci siamo spostati sulla vicina Museuminsel, l’isola dei musei dichiarata Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO che raccoglie opere e reperti afferenti a seimila anni di arte, molte delle quali provengono dalle collezioni private della famiglia reale prussiana e dal 1918 sono amministrate dalla fondazione Stiftung Preusschiscer Kulturbesitz (la fondazione responsabile del patrimonio culturale degli Hohenzollern). Qui è possibile ammirare la Porta del Mercato di Mileto e la ricostruzione della Porta di Ishtar (nel Pergamonmuseum), il busto di Nefertiti e una ricca colazione di reperti dell’età del bronzo, tardo egiziani e troiani (nel  Neues Museum).

 

Dalla piazza antistante l’altea Museum (il più antico del complesso) e il Duomo di Berlino,  abbiamo proseguito il nostro giro fino allo Zoo e alla Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche sull’autobus di linea n. 100 che, come il 200, attraversa il centro passando per tutte le principali attrazioni (e con il biglietto giornaliero che consente di prendere tutti i mezzi pubblici a soli  € 7 è molto più conveniente dei classici bus Hop On-Hop Off.. 😉 ).

 

Il secondo giorno ci siamo alzati di buon ora per arrivare in orario alla visita prenotata sulla cupola del Reichstag, l’edificio dove si riunisce il Bundestag (il Parlamento tedesco), disegnata Norman Foster dopo che l’originale fu distrutta durante i bombardamenti.

 

L’audioguida gratuita disponibile in diverse lingue spiega la storia dell’edificio e delle altre costruzioni d’interesse in città visibili dall’alto, oltre al funzionamento del Parlamento e degli organi governativi tedeschi di oggi.

 

A pochi passi di distanza si trovano la porta di Brandeburgo e il Memoriale dell’Olocausto, sulla strada verso la moderna Potsdamer Platz. Durante la Seconda Guerra Mondiale la piazza venne quasi completamente distrutta e visse più di 40 anni come spazio libero tra la parte est e la parte ovest; dopo la riunificazione, però, si presentò la possibilità di ricostruire il quartiere. I lavori per realizzare il nuovo quartiere DaimlerChrysler – ad opera di architetti come Renzo Piano, Richard Rogers e Arata Isozaki – iniziarono nel 1993 e proseguirono per 5 anni.

 

Nelle vicinanze si trovano il Museo Dalì, il Museo delle Spie (dove viene ricostruita la storia dello spionaggio dall’epoca degli antichi egizi fino a oggi) e una torretta di guardia del periodo post-bellico in Erna Berger Strasse.

 

Proseguendo verso Checkpoint Charlie, il più famoso punto di passaggio negli anni della Guerra Fredda diventato un’icona della divisione politica e del significato stesso del concetto di “confine”, si trova Topograhie des Terrors il centro di documentazione che sorge nel luogo dove, durante il Terzo Reich, aveva sede il quartier generale delle SS.

 

In questa zona è possibile visitare il Trabi Museum, dedicato alla storia della famosa utilitaria prodotta nella DDR nata come “l’auto del popolo tedesco dell’Est” e anche partecipare a un tour on the road per le vie del centro città proprio alla guida di una Trabant originale grazie a Trabi-World (che naturalmente non potevamo perderci!! 😀 ).

 

Il terzo giorno ci siamo dedicati a un tour nella Berlino sotterranea visitando uno dei bunker ancora esistenti sotto la stazione di Gesundbrunnen e quello che rimane della Flakturm di Humboldthein, l’unica delle tre coppie di torri antiaeree fatte costruire da Hitler rimasta in parte ancora in piedi e visibile.

 

Tornando verso il centro, a Nordbahnhof, dei pannelli nella stazione della metropolitana spiegano come, dopo la costruzione del muro, furono molteplici i tentativi di ritrovare la libertà attraverso i tunnel e le cosiddette «stazioni fantasma» – fermate della metropolitana dell’ovest rimaste attive sotto la Berlino Est. Usciti dalla stazione, proseguendo lungo Bernauer Strasse, si può visitare Gedenkstätte Berliner Mauer, il memoriale principale dedicato alla divisione della città che si sviluppa per 1,4 Km lungo il percorso originale del muro.

 

Sulla guida Pocket di Lonely Planet avevamo letto di un buon ristorante viet lì vicino, in Rosenthaler Strasse (il District Mot), per cui dopo un ottimo pho ❤ ci siamo spostati in quella che sarebbe stata la nostra casa per l’ultima notte, il bellissimo (e non lo dico solo perché sono di parte! ;-p ) Hotel De Rome in Bebelplatz, ricavato all’interno dell’edificio che un tempo ospitava la sede centrale della Banca di Dresda nella DDR. Qui (finalmente!) ho potuto rilassarmi un po’ dopo la maratona dei giorni precedenti nella Spa ottenuta negli spazi di quello che un tempo era il caveau.

 

L’ultima giornata è stata dedicata al relax e a un’ultima passeggiata in centro, anche perché – ovviamente – dopo tre giorni di nuvole è finalmente uscito il sole.. :-/

Quello che mi rimane dopo questo viaggio è l’impressione che Berlino si sia finalmente affrancata dal passato che la vedeva divisa. Senza dimenticare la storia e i momenti più bui che l’hanno vista protagonista, la città ha perso quell’aura nostalgica (anche se ancora si intravede in alcuni quartieri ex-DDR negli edifici di chiara matrice sovietica, identici a quelli che ho visto la scorsa estate in Russia, che potevano essere solo di tre colori: grigio, grigio chiaro e grigio scuro) aprendosi alla vita e al divertimento con un’energia contagiosa “respirabile” nei bar, ristoranti e nei numerosi locali notturni (dove, per la cronaca, si suona e balla la miglior musica elettronica internazionale).

 

4 passi a Washington


Ipse dixit: ‘Massì cosa vuoi che avremo camminato, massimo 6Km!’. Salvo scoprire, controllando con Maps, che i suddetti Km erano 16. 😓

  

Non fraintendetemi, a me piace girare a piedi e scoprire così, anche perdendomi un po’ senza controllare la cartina, città che non conosco. E Washington da questo punto di vista si presta perfettamente perchè le distanze fra i punti di interesse principali sono ridotte e, se siete fortunati con il meteo, in 3 giorni riuscirete a vedere tutto tranquillamente.

Ora, se siete persone normali suddividerete il giro del National Mall in due giornate, dedicandone una alla zona di Capitol Hill (il Campidoglio) e dei musei, e la seconda all’area dei memoriali senza affaticarvi troppo; ma se siete – o come me avete ‘malauguratamente’ scelto come accompagnatore – un nazi borderline preoccupato di non avere il tempo per vedere TUTTO.. Beh allora munitevi di scarpe mooooolto comode e cominciate con qualche settimana d’anticipo ad allenarvi come per prepararvi a una mezza maratona. I vostri piedi e le vostre gambe vi ringrazieranno e la sera non sarete troppo devastati per uscire a cena!

  

L’alternativa divertente, veloce e sempre ecologica è il Capital Bikeshare: con 7$ per 24h o 15 per 3 giorni, potrete scorrazzare liberamente per la città con le bici che si trovano praticamente a ogni angolo.

Per i più pigri, la metro è comodissima (anche se non proprio economicissima) e porta anche nelle zone più remote delle contee vicine. Per esempio, se foste obbligati.. Pardon! Non vedeste l’ora di visitare l’Udvar-Hazy Air&Space Centre a Chantilly (che in effett,  a dirla tutta, vale molto più la pena dell’omonimo museo in centro città) basterà arrivare al capolinea della metro Silver e da lì prendere l’autobus 983 che lascia proprio di fronte all’ingresso (ricordatevi di portare i soldi contati – 1.75$ – o comunque banconote di piccolo taglio perchè gli autisti non danno resto).

 

Quale che sia il vostro mezzo, oltre a girare la città concedetevi il tempo di visitare anche i numerosi musei che costeggiano il Mall. Sono tutti gratuiti (il che è già una figata) e  spaziano per qualsiasi campo: dalla storia naturale (un paradiso per chi da bambina sognava di diventare archeologa e poi biologa marina.. Salvo poi finire a fare PR 😶), alle scienze aerospaziali, all’arte americana e africana. Altra  cosa fighissima,  se siete anche voi internetaholic, quelli dello Smithsonian offrono collegamento wi-fi ai visitatori! 👏👏👏

Fra le attività turisticisssssime ma comunque carine per passare qualche ora c’è la crociera sul Potomac. Oltre alle opzioni di lusso per brunch, pranzo e cena, ci sono anche i semplici traghetti con guida che partono dal Georgeton Water Park con diverse rotte fino al Tidal Basin, Alexandria o Mount Vernon (la tenuta di George e Martha Washington) per cifre decisamente più convenienti. La zona del Water Park è molto carina anche per una passeggiata fino a Roosvelt Island o per un pranzo/cena lungo il fiume (per esempio da Tony&Joe’s per un ottimo piatto di shrimp&crab dip 🍴).

  

Il cimitero di Arlington è impressionante, con la sua distesa (anche se è più giusto parlare di colline) infinita di tombe a ricordare l’assurdità delle guerre. A meno che non vogliate proprio continuare a farvi i Km a piedi, ci sono dei fantastici tour guidati in bus che passano per diversi punti cruciali come il monumento ai militi ignoti, la tomba dei Kennedy e la Arlington House da cui si gode una vista meravigliosa sulla città. 

Dal lato sud si vede anche il Pentagono, raggiungibile in una fermata di metro. Può essere che prima di farvi accedere al memoriale la guardia vi faccia attendere un po’, ma potreste avere la fortuna di beccarvi l’arrivo/partenza di un paio di nuovi XYZ o degli elicotteri presidenziali. 😉 Se siete previdenti, potete anche cercare di prenotare una visita tramite l’Ambasciata, ma avrete bisogno di un preavviso di almeno 3-4 settimane.

 

Che altro dire della capitale? È super organizzata e molto tranquilla, decisamente non un regno dello shopping (per lo meno nelle vicinanze del centro ma verso Georgetown e i quartieri periferici si anima). A cena è meglio non andare troppo tardi (intorno alle 9 di domenica quasi tutti i locali stavano chiudendo la cucina) e in alcuni ristoranti è necessario prenotare anche in settimana. Da New York ci si arriva comodamente in circa 3h30 con i regionali dell’Amtrak o più velocemente con i treni Acela (partenza da Penn Station).

Back in the city


Rieccomi a Kathmandu. Il viaggio è ormai agli sgoccioli, domani sarà l’ultimo giorno prima del rientro e l’umore comincia a risentirne un po’.

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Questa ultima settimana è stata un tripudio di incontri, esperienze, emozioni, colori, odori e sapori (per lo più speziati.. Mooooolto speziati!) che mi hanno dato modo di capire un po’ di più il Nepal, la sua gente e la sua cultura.

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Siamo passati attraverso un capodanno fra i locali nella Pokhara in festa per lo Street festival, brindando alla luce dei fuochi di artificio con il whisky più imbevibile sulla faccia della terra e sfidando la morte su una ruota panoramica impazzita e decisamente senza controlli di sicurezza; il paesaggio selvatico del parco Chitwan; i templi più belli del Paese nelle valli intorno alla capitale; i paesaggi (e soprattutto gli infiniti gradini!) mozzafiato del trekking nel circuito dell’Annapurna; le incantevoli viuzze di Bhaktapur e Patan; le cerimonie funebri di Pashupatinath; ritornando poi al caos della trafficatissima Kathmandu.

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Quindici giorni sono pochi per scoprire appieno le meraviglie del Nepal, ma abbastanza per innamorarsene perdutamente e tutte le cose che nn sono riuscita a vedere (o a comprare :D) sono senz’altro un’ottima scusa per ritornare prima possibile da queste parti.

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Live from Kathmandu


21/12/2012

Ed eccomi qui, a un anno e qualche giorno di distanza dall’ultimo post, a rientrare nel blog. In questi 12 mesi sono successe tante cose, ci sono stati nuovi viaggi – anche se x lo più piccolini – ma sono mancati il tempo e la voglia x condividere i racconti anche qui.
Come da un paio d’anni a questa parte xo’ anche questo Natale ho deciso di trascorrerlo all’estero e visto che le buone abitudini sono dire a morire, sono tornata anche sul ‘luogo virtuale del delitto’ x raccontare impressioni ed emozioni di questa nuova avventura.
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Riaprire il taccuino di viaggio della Lonely, compagno fedele e contenitore di pensieri dei miei ultimi viaggi,è stato stranissimo ieri. Ho riletto con un po’ di nostalgia le impressioni del primo Dogon Challenge e di Heart for Bor e il pensiero è andato immediatamente a chi mi ha accompagnato nelle scorribande natalizie dei Wacky Racers.
Ad ogni modo, dopo due anni di deserto mi era tornata voglia di oriente e dopo vari ripensamenti ho deciso x un Paese di cui conosco veramente poco, il Nepal, pronta come sempre a farmi travolgere da quello che il luogo e soprattutto la gente sapranno regalarmi.

25/12/2012

Buon Natale da Bandipur!
Sono passati solo tre giorni dall’arrivo in Nepal e già la gente e i panorami di questo paese sono riusciti a stregarmi.
20121227-203839.jpg Dopo un tuffo nel quartiere più caotico della capitale, il Thamel, siamo passati all’estremo opposto e alla tranquillità di Ghalagaon, un piccolo villaggio del nord ovest che affaccia sui picchi del Masulu e dell’Annapurna 2. Ospiti di una famiglia abbiamo trovato una nuova amma (mamma) un nuovo baba (questo si capisce dai 🙂 ) e quattro fra bai (fratelli) e baini (sorelle).
Anche se il mio accento nepalese non è decisamente perfetto mi sono fatta insegnare qualche frase base x comunicare durante i trekking nei villaggi, soprattutto con i bambini. Diciamo che devo ancora lavorarci, ma mettendomi a terra e con smorfie e gesti vari più o meno riesco a farmi capire.. o quanto meno a farli sorridere! 🙂

Per molte cose queste zone mi ricordano i villaggi del nord del Viet, ma devo dire che quelli rimangono ancora i posti più belli che abbia mai visto finora.

Oggi ci siamo spostati a Bandipur, un paese un po’ più grande verso Pokhara, per avvicinarci alla nostra destinazione di domani, il villaggio di Sirubari, dove saremo nuovamente ospiti di una famiglia.

Stasera ci godremo quindi il soggiorno in un resort di ‘lusso’ il Bandipur Mountain Resort, e la stupenda vista sul Masulu dalla nostra camera, che ci ripaga del freddo che patiremo stanotte, nonostante gli innumerevoli strati di coperte e il rannicchiamento in sacco a pelo da cui si lascia uscire giusto il naso per respirare.

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That’s all for now folks!
Prossimo aggiornamentot in diretta da Pokhara, maybe..

On the road again..


Partiti!
A un anno di distanza siamo di nuovo in viaggio sulle strade dell’Africa con i Wacky Racers e nonostante per molti versi il viaggio sia simile a quello fatto per il Dogon Challenge 2010 (soprattutto nella prima parte) non posso fare a meno di notare come sia tutto così diverso.. ma forse è solo perché IO sono partita con uno spirito diverso e di conseguenza questo si riflette sul resto.
Nonostante (o forse proprio per questo) abbia lasciato più cose a casa a cui andranno i miei pensieri anche nei prossimi giorni, rispetto allo scorso anno cercherò di godermi di più il viaggio, non solo come esperienza in sé, ma cercando di cogliere maggiormente l’essenza dei Paesi e delle persone che incroceremo. L’entusiasmo della prima volta, che abbaglia tutto senza lasciare spazio alle zone d’ombra che rendono tanto affascinanti gli incontri con realtà diverse dalla nostra, lascia a questo giro spazio per un approccio più rilassato per farmi coinvolgere e travolgere fino in fondo.
Che l’avventura abbia inizio dunque.. e che Mama Africa ci guidi alla scoperta dei suoi segreti più reconditi!

Itinerario Sfizioso: borghi medievali, ceramiche e cucina genuina nel ‘cuore d’Italia’


Dopo Pescara continuo il mio viaggio alla scoperta del centro Italia portandovi nella ‘regione verde’, com’è anche chiamata l’Umbria. Caratterizzata da paesaggi ondulati coperti di prati che si alternano a tratti aspri e ammantati di boschi in cui si incuneano magnifici ‘villaggi a presepe’ arroccati sulle pendici delle montagne, questa regione presenta un territorio ricco di borghi e castelli, testimonianze di un periodo storico molto intenso che ha caratterizzato per secoli la Vale Tiberina e la Valle Umbra. Definita ‘cuore d’Italia’ non solo per la sua posizione geografica, l’Umbria conserva un patrimonio artistico e naturale inesauribile, capace di offrire a chi si avventura tra le sue strade un viaggio ricco di sorprese sospeso fra passato e futuro.

Punto di Partenza per questo itinerario è Città di Castello, l’antica Tifernum Tiberinum, che costituisce il principale centro dell’alta Valle del Tevere. Da qui ci sposteremo a Gubbio, città fra le più caratteristiche della regione che mantiene intatto il suo genuino aspetto medievale grazie a numerosi monumenti. Posta in posizione panoramica sopra uno sperone del Monte Subasio da cui domina la verde pianura umbra si trova Assisi, terza tappa di questo percorso e uno dei maggiori centri religiosi d’Italia, meta di pellegrini e turisti attratti dalla sua atmosfera di pace e dai magnifici monumenti che vi si trovano. Dalle mistiche memorie francescane della città Natale del Santo, andremo alla scoperta dell’antica arte vasaia di Deruta, che conobbe il suo apice artistico con i lustri cinquecenteschi, per terminare a Spello, annoverato fra i Borghi più Belli d’Italia nonché parte dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio.

Itinerario umbro

L’Alta Valle del Tevere è il primo tratto della valle del fiume Tevere che si estende dalle sorgenti sul Monte Fumaiolo fino a Montecastelli, a sud di Città di Castello. Amministrativamente divisa fra Emilia Romagna, Toscana e Umbria, geograficamente il territorio costituisce un unico grande bacino i cui maggiori centri abitati sono Città di Castello e Sansepolcro.

Città di Castello

Posta in posizione soprelevata nel territorio, Città di Castello è depositaria di un prezioso patrimonio storico, religioso e artistico di particolare interesse. Fondata molto probabilmente dagli Umbri, che vi si stabilirono agli inizi del I millennio a.C. e che la chiamarono Tiferno, fu successivamente denominata Tifernum Tiberinum quando Roma la sottomise nel 295 a.C. con la battaglia di Sentino. Dopo essere divenuta, nel periodo longobardo, Castrum Felicitatis, divenne attorno al X secolo Civitas Castelli, dal quale derivò, intorno al 1100 e con l’istituzione del Comune, l’attuale nome di Città di Castello. Libero e potente comune di parte Guelfa, estese in quegli anni il suo dominio sui territori confinanti fino a oltre l’Appennino e a testimonianza di questa forza rimangono ancora oggi i due splendidi palazzi dei Priori e del Podestà. In quell’epoca il comune era diviso in quattro rioni corrispondenti alle quattro Porte principali: Porta San Florido, Porta San Giacomo, Porta Santa Maria e Porta Sant’Egidio. Oggi i rioni storici della città sono rimasti tre: San Giacomo, Mattonata – che comprende anche l’antico rione di Santa Maria e in cui si tiene ogni anno la prima domenica di ottobre il famoso Palio dell’Oca, antica parodia popolare dei giochi cavallereschi dei signori – e Prato, il più antico della città come associazione organizzativa.

Il centro storico di Città di Castello

Posto in cima a una collina nella campagna umbra, l’agriturismo Il Sarale costituisce il luogo ideale per rilassarsi, ammirare la natura e godere dei piaceri di una cucina genuina e tradizionale. L’utilizzo di materiali della tradizione ed ecocompatibili, uniti alla produzione di energia rinnovabile, fanno di questo agriturismo un’azienda ecosostenibile in cui è possibile godersi passeggiate fra i poderi ed escursioni a cavallo, assapondo il fresco piacere della pineta d’estate o del caldo camino d’inverno. La posizione strategica consente inoltre di visitare le poco distanti Perugia, Assisi, Gubbio, Arezzo, il Lago Trasimeno e i borghi medievali umbri.

Strettamente legata alla storia di San Francesco e situata sulla strada del pellegrinaggio chiamata ‘il cammino di Assisi’ si trova

Veduta di Gubbio

Gubbio. Costruita sul margine di una piana ai piedi del Monte Ingino, Gubbio fu fondata dagli Umbri con il nome di Ikuvium o Iguvium e divenne poi municipio romano. Il Medioevo fu u periodo di particolare floridezza e potenza per la città, che ospitò anche per lungo tempo San Francesco, il quale leggenda vuole che ammansì qui il feroce lupo. In quel periodo furono edificati numerosi edifici pubblici, come il Palazzo dei Consoli e il palazzo del Bergello, e chiede, dal Duomo a San francesco, e la città prese l’aspetto che mantiene tuttora con le tre vie principali parallele posta su diversi livelli e fiancheggiate da case scure costruite in conci, Molte di queste abitazioni, accanto alla porta principale ma più in alto, presentano la cosiddetta ‘porta del morto’, che tradizione vuole si aprisse solo per lasciar passare le bare, anche se più probabilmente costituiva solo l’entrata ai piani superiori delle case, occupate al pianoterra da fondachi e botteghe.

Matti 'patentati' a Gubbio

Tradizionalmente definita la ‘città dei matti’ per la proverbiale imprevedibilità dei suoi abitanti, gli eugubini, la città è usa conferire la ‘patente da matto’ a chi compie tre giri di corsa intorno alla cinquecentesca Fontana dei Matti situata nel largo del Bargello venendo spruzzato alla fine con l’acqua della vasca.

Fra gli edifici di maggior interesse presenti nel centro storico ci sono il Palazzo dei Consoli, uno dei più bei palazzi pubblici d’Italia opera di Matteo Gattaponi che ospita il museo e la Pinacoteca Comunale;  il Palazzo Ducale, costruito dai Montefeltro a partire dal 1479 a imitazione di quello di Urbino e il cui magnifico cortile interno presenta un elegante portico rinascimentale a colonne su tre lati vivificate dalla dicromia della pietra serena e del rosso mattone; e il Teatro Romano, che risale all’epoca augustea e di cui rimangono arcate, pilastri e le gradinate della cavea. Fra gli edifici religiosi, invece, valgono la pena di una visita il Duomo, risalente al XIII secolo ma rimaneggiato nel ‘500, la gotica chiesa di San Francesco e San Ubaldo, che sorge sul fianco del Monte Igino ed è raggiungibile per una strada a serpentine lunga 5 km o più comodamente con una funicolare. Quest’ultima, dedicata al patrono della città e che ne custodisce i resti è anche la meta della famosa ‘Corsa dei Ceri‘ che si tiene il 15 maggio di ogni anno.

Il 'Palazzo dei Consoli' di Gubbio

La ‘Corsa dei Ceri‘ si svolge a Gubbio il 15 maggio ogni anno e tradizione vuole che sia dedicata a Sant’Ubaldo Baldassini, vescovo e patrono della città che morì nel 1160, frutto della trasformazione di un’originaria offerta di cera che le corporazioni medievali eugubine donavano al patrono. I Ceri sono tre ‘macchine’ di legno coronate dalle statue di Sant’Ubaldo, San Giorgio e Sant’Antonio Abate innestate verticalmente su altrettante barelle a forma di H che permettono di trasportarle a spalla. Il peso, di circa 300 Kg, non è la sola cosa che ne rende difficoltoso il trasporto, poichè ad esso si sommano l’altezza, la velocità – il tragitto viene fatto

I 'ceri'

correndo -, le asperità del percorso e le mute (i cambi al volo tra i portatori in corso). I portatori dei Ceri si chiamano ceraioli e ognuno è legato a un solo cero o per libera scelta, o per tradizioni familiari. Tradizionalmente, al cero di Sant’Ubaldo sarebbero legate le corporazioni di muratori e scalpellini, a quello di San Giorgio quella dei commercianti, mentre a Sant’Antonio i contadini, i proprietari terrieri e gli studenti. I ceraioli sono scelti fra i maschi adulti delle famiglie che abitano a Gubbio, anche se in rare occasioni (per esempio durante le guerre) anche le donne sono state ammesse al trasporto dei Ceri. I capodieci sono tre, uno per cero, e sono incaricati dell’Alzata (ovvero inaugurano la corsa) e responsabili del buon andamento della corsa del proprio cero. L’ordine di partenza e arrivo è prestabilito e non può essere modificato durante la corsa: il cero di Sant’Ubaldo è sempre il primo a entrare nella basilica, seguito da quello di San Giorgio e per ultimo da quello di Sant’Antonio. La Corsa dei Ceri è anticipata la prima domenica di maggio quando i Ceri vengono portati, in posizione orizzontale, giù in città dalla Basilica di Sant’Ubaldo, dove sono conservati per tutto l’anno. In questa occasione molti bambini salgono a cavalcioni dei Ceri lungo il percorso. Il simbolo dei tre Ceri è stilizzato anche nel gonfalone e nella bandiera ufficiali della Regione Umbria.

Il centro storico di Gubbio

Proseguendo alla scoperta dell’Umbria verso sud incontriamo quella che è conosciuta per essere la città che diede i natali e in cui vissero e morirono il patrono d’Italia San Francesco e Santa Chiara, nonché per essere uno dei maggiori centri religiosi d’Italia: Assisi.

La basilica di S. Francesco ad Assisi

Il periodo storico più importante per la città risale ai secoli XII e XIII, quando fu libero Comune, periodo in cui si illuminò anche la figura di San Francesco cui è legato anche il fiorire artistico della città con l’edificazione della basilica a lui dedicata e della chiesa di Santa Chiara, mirabili esempi di architettura gotica. A decorare la prima, inoltre, convennero fino alla metà del ‘300 i più grandi artisti toscani: da Pisano a Cimabue e Giotto, per finire con Martini e Lorenzetti. La Basilica di San Francesco, iniziata nel 1228 e consacrata nel 1253 consta di due chiese sovrapposte, quella inferiore e il santuario vero e proprio. La Piazza Inferiore, cinta da bassi portici quattrocenteschi per il ricovero dei pellegrini, è dominata dalla basilica e dal possente campanile, mentre in fondo a sinistra vi si affacciano l’oratorio di San Bernardino da Siena risalente alla prima metà del ‘400 e l’ingresso principale al Sacro Convento. Un gotico portale gemino preceduto da un protiro rinascimentale da accesso alla Chiesa Inferiore, al cui interno si respira immediatamente un senso di severità e raccoglimento dato dalle forme romanico-gotiche e dalla scarsità di luce filtrante. L’ampia navata è divisa da basse arcate a tutto sesto in cinque campate dalle volte a costoloni, con transetto e abside e cappelle laterali. In fondo, si apre la cappella di Santa Caterina ornata di affreschi di Andrea da Bologna e vetrate trecentesche, mentre circa a metà si trovano le scale che conducono alla cripta che racchiude la tomba di San Francesco come fu ritrovata nel 1918. Dai transetti, due scale salgono a una terrazza che da sul chiostro grande, a portico e a loggia, sulla quale incombe l’altra parte absidale della basilica e da cui, tramite un’altra scala, si accede alla Chiesa Superiore. Questa contrasta vivamente con la precedente già per la sua pura e agile struttura gotica e per la sua luminosità. Consta di una navata di quattro campate dalle volte a crociera con transetto e abside poligonale in cui sono raccolti i potenti affreschi di Cimabue e Giotto. Dalla chiesa si esce sulla Piazza Superiore per ammirare la semplice facciata duecentesca ornata di un portale gemino e di una ricca rosa, mentre dalla terrazza dietro l’abside si raggiunge l’ingresso al Tesoro che in tre sale raccoglie cimeli preziosissimi.

A due passi dalla basilica, nel pieno del centro storico di Assisi, il ristorante Locanda del Podestà  permette di scoprire in un’atmosfera magica e mistica i sapori e le ricette della cucina umbra accompagnata dai pregiati vini locali. In uno sposarsi di gusto e leggerezza ogni piatto diventa una vera e propria opera d’arte unica e inimitabile, partendo da una classica quanto ‘basilare’ torta l testo fino a piatti più ricchi come gli stringozzi cacio e pepe o al tartufo o le pennette alla norcina.

La Chieda dedicata alla Santa fedele discepola di San Francesco e fondatrice delle Clarisse è invece, come la basilica, un santuario

Santa Chiara

di fede e arte. Eretta in stile gotico fra il 1257 e il 1265, ha una semplice facciata a bande bianche e rosse e tre archi rampanti appoggiati al fianco. Internamente la nuda navata a 4 capate gotiche racchiude affreschi vari sopra il presbiterio e i transetti risalenti alla fine del ‘200 e di scuola giottesca. Dalla navata si passa alla Cappella del Sacramento anch’essa ornata di affreschi e tavole trecentesche.

Nelle mura medievali che circondano il centro storico, al termine della tortuosa e pittoresca via Perlici, si trova invece la Porta omonima. Risalente al XII secolo, presenta un duplice arco interno e stipiti formati da massi umbro-romani. Il silenzioso quartiere adiacente è particolarmente caratteristico grazie alle antiche casette che lo popolano, in particolar modo lungo la via del Comune Vecchio, e nelle vicinanze si trovano anche i ruderi dell’Anfiteatro Romano dei primi tempi dell’Impero. Dalla carrozzabile che parte da Porta Perlici si sale inoltre alla Rocca Maggiore, fatta ricostruire da Albornoz nel 1367 e costituita da una cinta trapezoidale con torri angolari e dal cassero con l’alta torre quadrata del mastio.

Situato in un vicoletto caratteristico e silenzioso vicino alla piazza del Comune si trova invece il ristorante ‘Locanda del Bernardone’, cui è collegato il piccolo hotel ‘Grotta Antica‘, in cui si respira appieno l’atmosfera suggestiva della città ed è possibile gustare piatti tipici della tradizione umbra. La sala ristorante, inserita all’interno delle mura medievali, è particolarmente accogliente e si sposa perfettamente con i sapori della tradizione culinaria regionale.

La 'Porziuncola' di Santa Maria degli Angeli

Situata su una collina a 15 Km da Perugia, sempre scendendo verso il sud della regione, si trova Deruta, una picola cittadina particolarmente nota per la produzione delle ceramiche le cui origini rimangono in parte ignote ma che si è subito rivelata un valido baluardo di Perugia a sud, verso Todi, come dimostra l’aspetto di castello fortificato del centro storico.

A ridosso dell’antica cinta muraria si trova il borgo più vecchio da cui, salendo per le tre porte dell’antico sistema difensivo, si accede al centro storico. La principale porta d’accesso è chiamata Porta Sant’Angelo, mentre le altre minori sono dette Porta Peruginae, Porta del Borgo o Tuderte. Nei pressi della Porta del Borgo è ancora possibile osservare, inglobati da edifici più nuovi, i resti dell’antico ospedale di San Giacomo risalente al 1414, una rarità per l’epoca. Nel centro del paese, prima della fontana dei Consoli, si trova la piccola ex chiesa di Sant’Angelo sconsacrata nei primi anni del XX secolo, mentre passata la fontana si arriva al campanile e alla trecentesca chiesa di San Francesco.

Una maiolica di Deruta

Le ricerche effettuate sulle origini e la storia della ceramica derutese consentono un’approfondita conoscenza dello sviluppo prduttivo-stilistico della ceramica locale rendendo lecito supporre che la genesi sia piuttosto antica. E’ infatti documentata l’esistenza, fin dal 1296, del toponimo ‘terra vasaria’ sulle rive del Tevere nella vicina Torgiano e la felice posizione geografica di Deruta, prossima a importanti vie di comunicazione terrestri e fluviali che favorivano i commerci e gli scambi ha certamente sostenuto lo sviluppo delle attività dei vasai e l’espansione dei loro traffici. La particolare specializzazione e la continuità produttiva hanno fatto sì che nell’evoluzione tecnica e stilistica della ceramica derutese si possano riconoscere tutte le principali tappe attraversate anche dalle produzioni dei diversi centri ceramici dell’Italia centro-settentrionale, a volte con significative anticipazioni o con soluzioni originali come nel caso dei lustri rinascimentali. Il lustro consiste in una particolare tecnica decorativa che consente di ottenere il colore dell’oro o del rubino con sfumature cangianti e iridescenti. Il procedimento, particolarmente sofisticato, ha origini antichissime e lontane, ma fu acquisito dai vasai derutesi nella seconda metà del XV secolo attraverso la mediazione dei lustri ispano-moreschi, come suggeriscono le similitudini tra la produzione derutese e quelle di Valencia e Manises.

Veduta panoramica di Spello

L’ultima tappa di questo itinerario è Spello, cittadina collocata ai piedi del Monte Subasio a circa 5 Km da Foligno e 35 da Perugia, eletta uno dei Borghi più Belli d’Italia, che si estende nella sua superficie comunale fra montagna, collina e pianura. Il suo terreno, particolarmente fertile, è coltivato a cereali viti e soprattutto olivi, da cui la città ottiene il suo prodotto gastronomico più pregiato: l’olio extravergine di oliva.

Fondata dagli Umbri per poi essere denominata Hispellum in epoca romana, fu dichiarata da Cesare ‘ Splendidissima Colonia

La cinta muraria

Julia’. I resti della cinta muraria, molto più grande di quella visibile oggi, attestano la grandezza che ebbe la città così come i resti archeologici  che la circondano. Numerose sono le opere di epoca romana e rinascimentale visibili in città, fra cui la chiesa di Santa Maria Maggiore che racchiude, all’interno della Cappella Baglioni, splendidi affreschi attribuiti al Pinturicchio e un pavimento di maioliche di Deruta. Nel sito dell’acropoli romana, ora occupato dai resti della rocca dell’Albornoz, si trova invece il Belvedere, dove si trova un piccolo arco romano antica porta di accesso all’acropoli e da cui si gode un magnifico panorama.

Fedele alla nomea di ‘città dell’olio’ il Frantoio di Spello uccd ha mantenuto negli anni l’intento di produrre esclusivamente olio extravergine di oliva di qualità superiore. Le modalità di raccolta, trasporto, lavaggio, molitura e conservazione sono finalizzate a esaltare le caratteristiche tipiche di un prodotto affermatosi nei secoli. Per i professionisti o i curiosi che desiderino approfondire la storia dell’olio extravergine di oliva di Spello e condividere la propria passione per il prodotto, il Frantoio organizza visite (gruppi minimo di 20 persone) agli oliveti dei propri associati o al frantoio aziendale con percorsi didattici sul ciclo di produzione, la conservazione e l’imbottigliamento, assaggi sensoriali e degustazioni di prodotti tipici umbri e disciplinari sul marchio a Denominazione di origine protetta ‘DOP Umbria’.

Ogni anno, a fine giugno, la città ospita una fra le più conosciute e apprezzate Infiorate a livello internazionale, organizzata in onore del Corpus Domini. Nel corso della settimana delle Infiorate, inoltre, Spello organizza numerose iniziative da non perdere per scoprire al meglio la città e le sue tradizioni.

Quaderno di Viaggio: Andalusia – maggio 2008 e giugno 2010


Terra delle mille emozioni, sapori e colori l’Andalusia non delude mai.

Ci sono stata per la prima volta nel 2008 e considerando quanto sia evidente la mia maggiore facilità di innamoramento per i luoghi che visito rispetto a quella per i ‘classici’ uomini ;-p, non c’è voluto molto per farmi cadere ai suoi piedi, tant’è che ci sono tornata lo scorso anno.

tipico paesaggio delle colline andaluse

Al primo giro sono volata a Siviglia con un’amica per fare cinque giorni on the road, macinando km per vedere tutto il vedibile, mentre la seconda volta ho cercato di rilassarmi un po’ e di ‘colmare i buchi’ lasciati dal viaggio precedente. Il

Torre del Oro - Siviglia

mio primo impatto con la regione è stato con Siviglia, una città che fin dalla prima occhiata si rivela viva, ricca di storia e cultura. Pur essendo solo a fine aprile faceva già molto caldo, ma fortunatamente le strette viuzze del centro offrono un ombroso e fresco riparo a chi si appresta a scoprire i tesori della città a piedi. Avendo noleggiato una macchina (con Autoeruope, che aveva i prezzi più convenienti) e non volendo preoccuparci troppo di cercare posto in strada, abbiamo scelto l’ostello Patio de la Cartuja, un gruppo di antiche residenze con grandi patii trasformato in albergo nel quartiere bohémien de la Macarena che dispone anche di un parcheggio. Una volta sistemati i bagagli siamo quindi partite da qui scendendo lungo il Guadalquivir verso il quartiere di El Arenal, antica sede del porto sevillano oggi dominata dalla Plaza de Toros de la Maestranza, di origine settecentesca e una della più antiche arene spagnole, e dalla moresca Torre del Oro risalente al XIII secolo.

Attraversato il ponte Isabel II abbiamo continuato la passeggiata scoprendo il rione Triana, per tradizione il ‘quartiere

viette sevillane

operaio’ in cui fin dai tempi dei romani si producono ceramiche, camminando sulle stradine di ciottoli ma non potendo purtroppo ammirare la quotidiana fervida attività dei numerosi negozi di ceramica visto che era domenica. Fin dal primo passo oltre il ponte ci si accorge dell’atmosfera diversa che si respira nel barrio, sensibilmente più tradizionale e tranquillo rispetto alla sponda cittadina, ed è incantevole perdersi nelle viuzze dove le insegne di bar, negozi, laboratori e anche delle semplici case sono realizzate con i famosi azulejos, le piastrelle smaltate dalla caratteristica decorazione azzurra. Tornati verso la Torre del Oro ci siamo quindi addentrate nel barrio di Santa Cruz, l’antico quartiere ebraico nonché angolo più pittoresco della città in cui si concentra la maggior parte delle attrazioni più note: la cattedrale gotica con la Giralda (simbolo di Siviglia), il Real Alcazar e l’Hospital de los Venerables.

Siviglia, la cattedrale e la Giralda

L’intricato dedalo di viette che si dipanano nei dintorni della cattedrale è senza dubbio la parte più romantica della città e zigzagare fra le piazze e i patii ornati di fiori è un’esperienza che permette di assaporare al meglio l’atmosfera vitale e ospitale che caratterizza Siviglia. In questa zona, ricca di bar di tapas e ristoranti si può trovare di tutto, dalle botteghe degli artigiani alle catene dei negozi più famosi, ai classici rivenditori di souvenir. La cattedrale gotica e la Giralda, il suo campanile che insieme al Patios de los Naranjos che si trova sul lato ovest sono ciò che rimane dell’antica struttura moresca sui cui resti è stata costruita la cattedrale, sono senz’altro i monumenti più conosciuti di Siviglia.

Seconda tappa del primo viaggio andaluso è stata Cordoba, distante appena un paio d’ore di macchina. Sarà che essendo molto più piccola abbiamo avuto modo di godercela più di Siviglia, a cui avevamo dedicato giusto una mezza giornata,

a spasso per Cordoba

ma Cordoba mi ha colpito maggiormente rispetto al capoluogo. Il nucleo è costituito dalla città vecchia che si sviluppa intorno alla Mezquita, sulle rive del Guadalquivir, quello che era il vecchio quartiere ebraico ed è perciò chiamato Juderia. Partendo dal Puente Romano per addentrarsi nei dintorni della Mezquita e dell’Alcazar de los Reyes Cristianos, passeggiando per i vicoletti su cui si affacciano innumerevoli oreficerie e botteghe artigianali, si ha l’impressione di essere tornati indietro nel tempo. Un po’ ovunque ma soprattutto prendendo Callejon de las Flores si possono ammirare i fiori che danno un tocco di colore alla città abbellendo i balconi, le porte e i patii delle case, in particolare nel periodo in cui si tiene il Festival de los Patios, ai primi di maggio.

Dopo una mattinata intensa a Cordoba abbiamo fatto rotta su un’altra perla incastonata nelle montagne della provincia di Malaga: Ronda. Con la gola del Tajo a fungere da efficace fossato, questo fu uno degli ultimi centri conquistati dai

il Puente Nuevo di Ronda

mori e successivamente divenne la culla della moderna corrida. Non so se per colpa del navigatore non aggiornato o meno, comunque la strada da Cordoba non sì è rivelata esattamente agevole, anzi! Ad un certo punto ci siamo trovate a percorrere stradine di montagna non asfaltate, ma quanto meno c’erano i cartelli a confortarci di stare proseguendo nella direzione giusta. Lo spettacolare quanto imponente Puente Nuevo separa la parte antica, un vero e proprio pueblo blanco moresco fatto di stradine acciottolate ed edifici dipinti di bianco, da quella nuova al di là della gola dove si trova, manco a dirlo, la Plaza de Toros. Lo strapiombo roccioso di quasi 100 metri sotto il centro abitato offre uno spettacolo da mozzare il fiato che ci ha fatto immediatamente dimenticare le difficoltà per arrivare fino a qui, anche perché ripartendo abbiamo scoperto che la strada per arrivare a Marbella era invece molto più agevole.

Ronda

Tappa ideale per riprendersi dopo le prime giornate intense di visita del territorio (o per iniziare alla grande il soggiorno come nel caso del mio ritorno in Andalusia) è invece Tarifa, che a me ha immediatamente rubato il cuore quando ci sono arrivata per la prima volta nel 2008. Chi non c’è mai stato forse avrà difficoltà a capire perché, di tutte le splendide città

la rocca di Tarifa

dell’Andalusia, proprio questa sia la mia preferita. L’atmosfera che si respira a Tarifa è magica. E’ come una piccola St. Tropez, ma meno fighetta.. un borghetto di case piccole e bianche in cui si concentrano tante persone dagli stili di vita differenti, ma accomunate da una visione della vita presa alla leggera. La parola d’ordine qui è relax! Ci si può fare con calma una passeggiata nel centro fra i negozietti che vendono prodotti locali e i tanti dedicati invece alle attrezzature da kite/wind surf, addentrandosi nelle piazzette piene di taperie e ristorantini tipici dove con 6€ si può gustare il fritto misto più buono di sempre. Basta proseguire un poco per incontrare il Castillo de Guzman el Bueno, poi il porto, la rocca e per finire arrivare alla spiaggia.. potendo scegliere se fare il bagno nel Mar Mediterraneo o nell’Oceano

la spiaggia di Tarifa

Atlantico! Uno stretto istmo che porta all’isola di Tarifa, riserva naturale di pesca, separa infatti le due acque per un centinaio di metri, prima che si fondano insieme nel restante spazio che separa la punta più meridionale dell’Europa dal Marocco. Guardando all’orizzonte, Tangeri sembra così vicina da poterla toccare con un dito, solo sporgendosi un po’, e prendendo uno dei traghetti veloci della linea FRS in 35 minuti è possibile immergersi e assaporare un po’ dell’atmosfera marocchina.

La Pension Facundo che mi ha già vista ospite un paio di volte, è una buona sistemazione, a pochi metri dalla spiaggia e dal centro, con camere pulite con o senza bagno privato e accesso internet e wi-fi gratuito.

kites a Tarifa

La spiaggia più grande che parte da Tarifa è quella sull’oceano che poi arriva fino a Cadice e alla Costa della Luz. Su

playa de valdevaqueros

questa spiaggia, che si chiama Valdevaqueros, si trovano nelle ore giuste moltissimi appassionati dei diversi stili di surf, da quello ‘classico’ con la sola tavola, al wind e al kite, e non è insolito imbattersi in acrobazie che lasciano a bocca aperta. Il vento che soffia incessantemente in questa zona non è solo particolarmente apprezzato dai surfisti, ma costituisce anche una delle fonti principali di energia e sviluppo del territorio. Le colline circostanti Tarifa, ma in generale un po’ in tutta la regione andalusa, sono infatti caratterizzate non solo dalla massiccia presenza di campi di girasoli, ma anche dalle numerose turbine che trasformano l’intensità eolica in energia elettrica.

mulini a vento
Gibilterra
panoramica di Gibilterra
abitanti della penisola

A un’oretta di macchina da Tarifa in direzione Malaga si trova Gibilterra, enclave britannica su suolo spagnolo. Famosa non solo per la presenza di pub e fish&chips, come nella più classica tradizione inglese, o per i tunnel dell’assedio utilizzati durante la Guerra di secessione spagnola, quanto per la presenza delle scimmie senza coda che ci vivono, Gibilterra offre dal Top of the Rock, la vetta della penisola raggiungibile a piedi o con la funicolare, un panorama d’eccezione sulla costa e le colline circostanti.

Alhambra - patio de la Alberca

Tarifa e Gibilterra sono state tappe di entrambi i miei soggiorni andalusi, ma mentre nel primo giro da qui mi sono spostata verso ovest per poi tornare a Siviglia, nel secondo abbiamo proseguito verso est risalendo parte della Sierra Nevada per arrivare, in circa 3 ore, a Granada. Seguendo i consigli di amici vari avevamo prenotato l’ingresso per la

il Partal

visita all’Alhambra prima di partire dall’Italia e prima di lasciare Tarifa avevamo addocchiato un paio di ostelli in città fra cui scegliere. Arrivate con un paio d’ore d’anticipo rispetto all’orario della visita, abbiamo quindi fatto un giro di perlustrazione in auto per posizionare gli ostelli e ci siamo fermate per pranzo. Purtroppo, una volta finito, abbiamo scoperto che l’auto non partiva più e che l’autonoleggio da cui l’avevamo presa non solo non aveva una sede in città, ma non riusciva nemmeno a proporci delle soluzioni per recuperarne una nuova in breve tempo. In caso abbiate bisogno di noleggiare un’auto in Spagna, consiglio quindi di evitare caldamente la Record Go. Per

decorazioni all'Alhambra

non perdere almeno la visita all’Alhambra ci siamo spostate lì in taxi, decidendo di pernottare alla Posada Dona Lupe, una fra le nostre papabili scelte che si trova immediatamente di fronte. Nonostante il caldo afoso che alle 5.30 di pomeriggio ancora ci faceva boccheggiare e l’incazzatura per il contrattempo, la visita ci ha fatto dimenticare per qualche ora i nostri problemi. L’uso magico di spazi, luce, acqua e decorazioni che caratterizza le architetture del complesso e i giardini trasmette perfettamente l’immagine di potere  dei califfi della dinastia Nàsridi che la fecero costruire, mentre dalle mura ci si gode una magnifica vista sulla città e sulla Sierra Nevada. Risalendo i Jardines Bajos abbiamo visitato anche il Generalife, tenuta di campagna dei re Nàsridi, una vera oasi di pace.

il Generalife

Purtroppo il problema con l’auto e l’incapacità di gestirlo della compagnia di noleggio ci hanno fatto perdere la visita generale della città e ha anche determinato un cambio nel programma complessivo del viaggio, dato che siamo dovute

la cattedrale di Cadice dal lungomare

tornare a Malaga per recuperare un nuovo mezzo, quindi da lì poi ci siamo ridirette verso sud, a Cadice. Il centro storico di questo vivace porto, che si trova su una penisola collegata al resto della città da un istmo, è molto carino e suggestivo e la passeggiata sul lungomare è veramente molto bella, ma da non fare nelle ore più calde della giornata visto che, al contrario di Tarifa, qui non spira un alito di vento. Arrivando nella piazza della cattedrale e girandovi attorno per proseguire verso il lungomare si incontra la Playa de la Caleta, la spiaggia più famosa di Cadice in cui si trova un vecchio stabilimento

dinosauri al Parque Genovès

balneare dalla bianca architettura arabeggiante. Continuando la passeggiata e sorpassando la fortezza del Baluarte de la Candelaria si arriva poi al Parque Genovés, dove oltre ad ammirare i magnifici giardini è possibile fare incontri.. ‘insoliti’. 😉 Il lungomare che gira tutto intorno alla penisola rientra infine nel centro cittadino prima del porto, all’altezza di Plaza de Espana, dove si trova il Monumento a las Cortes. Una testimonianza molto importante per la gente di Cadice e per la Spagna stessa, perché ricorda quando in città fu instaurato per un breve periodo un parlamento alternativo a quello di Madrid nel 1812, anche se questo tentativo

democratico venne immediatamente soffocato dalla monarchia.

Cadice - playa de la caleta

Non molto distante da Cadice, per una gita in giornata o come tappa prima di proseguire verso Jerez de la Frontera, si trova Sanlùcar de Barrameda, da cui è possibile partire per visitare il parco naturale di Donana. Si tratta di una riserva naturale che si sviluppa sul corso del fiume Guadalquivir e in cui trovano riparo numerose specie protette, soprattutto di uccelli (fra cui fenicotteri e aquile imperiali), ma anche linci e cervi. Da Sanlùcar è possibile prendere un traghetto per risalire il fiume e visitare il parco, mentre da Huelva partono i tour su strada in 4×4.

parco nazionale di Donana
il paesaggio a Donana
flamingos

Ultima tappa in entrambi i tour è stata Jerez de la Frontera, capitale dello sherry circondata da una campagna

la cattedrale di Jerez

ammantata di filari di viti e campi di girasoli. Per quanto il centro cittadino, dove l’unica costruzione degna di nota è l’Alcazar dell’XI secolo, sia molto carino e ricco di taperie in cui gustare le migliori specialità della regione accompagnate da un ottimo fino locale, la vera attrazione del posto sono le bodegas (come quella di GonzalesByass, produttori del famoso Tio Pepe) che offrono tour guidati nelle cantine che normalmente si concludono con una degustazione. Oltre a queste e al circuito reso famoso dalla moto GP, Jerez è particolarmente famosa anche per la sua scuola equestre. A fine aprile/primi di maggio vi si svolge la Feria del Caballo, la festa più importante della città, durante la quale gli abitanti e i visitatori si vestono con abiti tradizionali

spagnoli e si tengono esibizioni di dressage della Real Escuela Andaluza de Arte Ecuestre.

visita alla bodega GonzalesByass

Ma, come si dice, ‘non c’è due senza tre’ per cui, considerando quanto ancora mi manca da vedere di questa terra accogliente e i comodi voli low cost che coprono tutte le città principali, credo che ritornerò presto in Andalusia a completare il giro.

Quaderno di Viaggio: Vietnam Settentrionale – Agosto 2010


Ci ho messo due anni per arrivare in Vietnam. Due anni prima di avere il tempo, i soldi, lo spirito necessario per partire e realizzare un sogno. La prima cosa che penso appena atterrata ad Hanoi quindi, dopo la notte insonne passata all’aeroporto di Bangkok, è che finalmente sono esattamente dove vorrei essere.. una sensazione che, per quanto possa sembrare strano, non è facile provare.

Usciamo dall’aeroporto e.. piove!Peccato, ma d’altronde sapevamo che la stagione non era la migliore e fino a quel momento, con il tempo trovato ai templi di Angkor, non potevamo non dirci fortunati. Ci accordiamo sulla tariffa del taxi senza farci fregare troppo per arrivare in centro e ci facciamo portare in stazione per prenotare i biglietti del treno per partire la notte stessa per Sapa. Senza anticipo ovviamente troviamo a malapena due posti poltrona nello scompartimento a sedili morbidi, ma almeno così potremo mantenere il programma per i prossimi 4 giorni fra i villaggi del nord, gli unici pianificati prima della partenza dall’Italia. Abbiamo qualche difficoltà a trattare con il signore che si occupa degli armadietti bagagli della stazione che parla solo vietnamita, ma buona volontà e la palestra di negoziazione dei giorni precedenti in Cambogia ci aiutano a ottenere un prezzo equo per i sei giorni in cui intendiamo lasciare le valige grosse ad aspettarci in modo da proseguire il più leggeri possibili nei giorni di trekking e alla baia di Halong.

in mototaxi ad Hano

Appena giunti ad Hanoi non si può non notare lo sciame di motociclette che invade letteralmente le strade sorpassando ovunque riescano a infilarsi, soprattutto quando ci si trova per la prima volta a cercare di attraversare la strada cercando di non rimetterci le penne. 🙂 Da bravi avventurieri decidiamo che non possiamo lasciarci scappare anche questa esperienza. Fortunatamente nel frattempo ha smesso di piovere per cui lasciati i bagagli in stazione saliamo su due mototaxi per raggiungere il museo di Ho Chi Minh. Ci arriviamo all’ora di pranzo quindi lo troviamo chiuso per pausa, così come il mausoleo dedicato anch’esso allo Zio Ho che invece è aperto solo al mattino. Decidiamo di fare un giro nei dintorni, dando un’occhiata anche alla Pagoda su una sola colonna che si trova dietro al museo, ma di non aspettare l’apertura pomeridiana e spostarci direttamente al Quartiere Vecchio nei pressi del lago Hoan Kiem in cyclo.

 

Hanoi - Pagoda su una sola colonna

Il Quartiere Vecchio è il cuore storico di Hanoi. Le sue viette strette piene di traffico, venditori ambulanti e negozi di ogni genere costituiscono l’anima vitale e commerciale della città e addentrarvisi lasciandosi conquistare dai colori, gli odori e i sapori dei dolci di strada e del nostro primo pho, la tipica zuppa vietnamita, è un’esperienza che immediatamente mi conferma la sensazione iniziale.

Hanoi - Torre della Tartaruga

Terra di leggende, il Vietnam è ricco di storie che spiegano la nascita di alcuni fra i propri luoghi più famosi e suggestivi da cui vengono derivano i loro nomi attuali. Hoan Kiem, per esempio, significa Lago della Spada Restituita. Tradizione vuole infatti che a metà del XV secolo gli dèi inviarono all’imperatore Le Thai To una spada magica che egli utilizzò per cacciare i cinesi dal Vienam. Il giorno successivo alla guerra, l’imperatore vide una gigantesca tartaruga d’oro sulla superficie del lago, che afferrò la spada e scomparve nell’acqua per restituirla ai suoi divini protettori.

Ci avviciniamo scrutando l’acqua per cercare una delle tartarughe discendenti dalla protagonista della leggenda visto

lezioni di t'ai chi a Hoan Kiem

che si dice portino fortuna a chi riesce a vederle nelle rare occasioni in cui emergono. Intorno al lago la vita scorre frenetica, ma basta guardare l’acqua, la Thap Rua (Torre della Tartaruga) – emblema della città che si trova su un isolotto in mezzo al lago ed è sormontata da una stella rossa – attraversare il rosso ponticello Huc (ponte del Sole Nascente) e arrivare al tempietto di Ngoc Son per immergersi in un’atmosfera suggestiva scandita dal ritmo lento dei movimenti di t’ai chi dei gruppi che si ritrovano a esercitarsi lungo le sponde. Dopo un giretto fra i numerosissimi negozi di scarpe di ogni tipo che si trovano nelle immediate vicinanze del lago e un salto in una delle onnipresenti agenzie di viaggi per prenotare anche la gita di due giorni ad Halong, ci prepariamo per un’altra esperienza di immersione nella cultura viet: lo spettacolo delle marionette sull’acqua. Discendente di un’antica arte inventata dai contadini che lavoravano nelle risaie del Delta del Fiume Rosso e un tempo tramandata segretamente di padre in figlio, lo spettacolo oggi si svolge all’interno del Teatro Municipale dov’è allestita una piscina quadrata in cui sono azionate le marionette. Si tratta di diverse storielle divertenti di argomento bucolico o leggendario all’interno delle quali l’accompagnamento musicale dal vivo gioca un ruolo preponderante e che si riesce a seguire grazie alla loro espressività, anche se le battute sono recitate solo in vietnamita.

 

le marionette sull'acqua

Tiriamo in lungo continuando il giro nel Quartiere Vecchio e poi rientriamo alla stazione in tempo per prendere il treno notturno che ci poterà a Lao Cai, quasi al confine con la Cina. Anche se la carrozza sembra un po’ da film dell’orrore

Sapa

scopriamo che i sedili sono ampiamente reclinabili e riusciamo quindi a dormire un minimo, considerando che l’arrivo è previsto per le 4.30 di mattina. Ancora intontiti usciamo nel piazzale immerso nella notte e troviamo subito l’autista venuto a recuperarci. Per il tour nei villaggi del nord infatti ci siamo affidati al signor Nghe, un tour operator locale segnalato sulla Lonely Planet con il quale abbiamo definito le cose che ci sarebbe piaciuto vedere e studiato un giro personalizzato a un prezzo che, una volta in loco, abbiamo scoperto essere ottimo per il servizio avuto. Appena ci

vista di Sapa dal Lotus hotel

raggiunge anche Mye, la ragazza che ci farà da guida nei successivi 4 giorni, partiamo alla volta di Sapa su una stretta strada di montagna interrotta ogni tanto da una frana qua e là. Saranno le nuvole basse, sarà la leggera pioggerellina che comincia a cadere e appanna i finestrini della nostra 4×4 o il paesaggio in cui cominciamo a scorgere risaie e villaggi ma mi sembra di essere arrivata in un luogo delle favole. La vista mozzafiato che godiamo dalla camera del nostro hotel, il Lotus, una colazione – manco a dirlo – a base di frittata e té vietnamita, ma sopratutto una doccia calda ci rimettono al mondo, pronti per un giro al mercato locale e al villaggio Cat Cat della tribù Black H’mong, a circa 3 km sotto il centro cittadino.

 

Sapa

La prima cosa che mi colpisce di Sapa, perla incastonata fra le montagne, è l’incredibile quantità di alberghi, ristoranti, negozi di souvenir e altre attrazioni dedicate ai turisti. Chiedendo a Mye la mia impressione che nessuno di locale abiti effettivamente la cittadina è confermata. In effetti i rappresentati delle diverse tribù della zona vivono tutti nei vicini

Black H'mong

villaggi e si spostano in ‘città’ solo per vendere i prodotti del loro artigianato o per altre occupazioni legate al turismo. In particolare a Sapa si possono incontrare membri delle tribù di montagna appartenenti ai gruppi Black H’mong, caratterizzati da abiti di color blu scuro, e Red Dzao, con indosso invece il tipico copricapo colo rosso vivo. Anche i villaggi limitrofi vivono di turismo, oltre che della coltivazione del riso, per cui per accedervi bisogna pagare delle piccole tasse d’ingresso e una volta entrati vi si trovano botteghe di artigianato tipico (tessuti, manufatti, cibi e bevande) e donne e bambini che a ogni passo cercano di venderti qualcosa. La strada che porta a Cat cat è ripida e

il villaggio Cat Cat

nonostante sia per la maggior parte asfaltata la pioggia caduta non rende meno difficoltoso il tragitto. Riusciamo comunque a rimanere in piedi ed arrivare alla cascata che si trova nella parte più bassa del villaggio, ma un po’ per stanchezza, un po’ per provare anche l’ebbrezza di una nuova ‘avventura, sulla via del ritorno decidiamo di farci riportare a Sapa con gli xe om, motorini sgangherati con ragazzini in veste di autisti. Ovviamente a me tocca il più spericolato di tutti, ma miracolosamente riesco a non volare per terra e a tenere ben salda in mano la macchina fotografica nonostante un salto di mezzo metro dalla sella per colpa di una buca.. o_O’

Red Dzao
artigiani a Cat Cat
bambini a Cat Cat

Rientrati in albergo ci concediamo un giretto fra i negozi di souvenir e un massaggio ai piedi à la façon Red Dzao, ovvero non esattamente rilassante ma di sicuro rigenerante. L’allenamento intensivo del primo giorno ci fa svegliare baldanzosi il mattino dopo, pronti per il secondo trekking che ci avrebbe condotto ai villaggi di Lau Chai, Ta Van e

la strada per Ta Van

Giang Ta Chai delle tribù Red Dzao e Giay. Invece di 3 i Km a questo giro sono 20, ma la strada larga e asfaltata che ci aveva portati a Cat Cat ci fa ben sperare. Peccato che  stavolta a un certo punto la strada si trasformi in un sentiero di montagna stretto stretto, in cui pezzi a pendenza che sfiora i 90 gradi si alternano a salite dove non sarebbe male avere dei ramponi ai piedi, soprattutto dopo che un’allegra pioggerellina di mezz’ora (scesa per fortuna durante la nostra pausa pranzo) rende il tutto fangoso e altamente scivoloso.. La cosa incredibile è che mentre io fatico a restare in piedi con le scarpe da ginnastica, le nostre guide –  a Mye si sono affiancate oggi sua mamma e una sua amica originarie del primo villaggio che visitiamo – procedono saltellando senza esitazioni con ai piedi delle semplici ciabatte!!??!! Ad un certo punto incrociamo sulla nostra strada una mucca abbarbicata sulle pendici della montagna appena

risaie

sopra il sentiero, che ovviamente comincia a scivolare e sembra voglia venire dritta dritta addosso a me. Incredibilmente riesce a recuperare la stabilità prima che succeda l’irreparabile e nonostante la forte tentazione di farmi lasciare lì in mezzo ai boschi distrutta mi abbia sfiorato più volte alla fine sono sopravvissuta, anche se dopo l’ultima salita sono semi svenuta in macchina con tutti i muscoli delle gambe – compresi quelli di cui non sospettavo nemmeno l’esistenza 😀 – che imploravano pietà. Morti di fatica ma estasiati dai paesaggi, gli incontri e le realtà con cui siamo entrati in contatto decidiamo di concederci un’altro massaggio Red Dzao, stavolta completo di bagno in tinozza con erbe e oli essenziali.

l'amica di Mye
il panorama della Muong Hoa valley
incontri lungo la strada
la sostenibile leggerezza dell'essere

La mattina dopo lasciamo Sapa col sole e dopo 4 ore di macchina arriviamo a Cao Son, un villaggio di montagna a 1500 metri fra la Muong Lum valley e la Lung Khau Nhin valley. Qui le risaie lasciano spazio a una fitta vegetazione che ci rimanda immediatamente all’immagine del Vietnam da film e ad ogni curva quasi mi aspetto di veder spuntare sopra le montagne gli elicotteri di Apocalypse Now, sperando ovviamente che nessuno ci spari! ;-D Anche se è mattina e siamo piuttosto in alto il clima è torrido, ma preferiamo comunque procedere con i finestrini abbassati piuttosto che con l’aria

Cao Son Ecolodge

condizionata sparata a palla come sarebbe da uso locale, anche perché almeno possiamo approfittarne per scattare qualche foto al paesaggio e ai personaggi che incrociamo lungo la strada. Arriviamo al Cao Son Ecolodge, in cui ci fermeremo per la notte. Purtroppo nel lode originale le camere sono già tutte occupate e così ci accomodano nella nuova struttura in muratura che devono aver finito da poco, visto che odora ancora di calce fresca. Il tempo di sistemarci e bere una tazzina di té che ci offrono ed è già ora di pranzo. Mangiamo qualcosina giusto per far scorta di energie in vista del trekking pomeridiano e intanto le mie gambette, che erano in sciopero dopo la mazzata del giorno prima, già cominciano a presagire un nuovo ‘attacco’.

dintorni di Cao Son
dintorni di Cao Son

 

In realtà, considerando che avevamo solo il pomeriggio a disposizione, mi sentivo abbastanza fiduciosa che questa nuova gita sarebbe stata una passeggiata in confronto, ma puntualmente, come già mi era capitato in questa vacanza, si

Flower H'mong

è ovviamente avverato l’esatto contrario di quello che pensassi.. Insieme a Mye e a un ragazzo del luogo che ci fa da guida ci infiliamo in mezzo ai campi di riso, di mais, di zucche! – queste ultime sono il prodotto tipico di quest’area – risalendo e soprattutto scendendo per sentierini dove a malapena riusciamo a mettere un piede davanti all’altro e per lo più coperti dalla vegetazione, quindi non riusciamo mai a capire se stiamo camminando sopra terra, voragini o sassi scivolosissimi. Saltellando agili come stambecchi azzoppati riusciamo a cadere e infangarci anche a questo giro, ma la ‘passeggiata’ mi lascia davvero incantata! Al contrario di Sapa, qui – e

lavorando il granturco

anche a Bac Ha, dove saremmo andati il giorno seguente – il turismo fortunatamente non è ancora arrivato in maniera così massiccia e invadente ed è quindi possibile godersi appieno le realtà originali dei villaggi di montagna e delle tribù che li abitano, principalmente di etnia Flower H’mong. Nel nostro lungo giro di altri 20 Km circa ci imbattiamo infatti in diversi villaggi dove la vera attrazione siamo noi, perché turisti qui non ne passano mai o quasi. Stuoli di bambini corrono a salutarci appena ci vedono, alcuni più sfacciati si mettono in posa per farsi fare le foto e vengono a guardarle, altri si spaventano e scoppiano in lacrime alla vista dell’obiettivo anche se poi notiamo che stanno ‘giocando’ con in mano un machete, altri ancora ci seguono curiosi a distanza ma quando ci giriamo per salutarli scappano via intimiditi ridendo. Questo è il Vietnam che mi è rimasto nel cuore, quello che più mi è piaciuto e in cui voglio tornare. La zona più vera e la più bella in assoluto..

bambini a Cao Son
bambini a Cao Son
bambini a Cao Son

La domenica terminava purtroppo il nostro giro dell’area nord-occidentale con l’ultima tappa a Bac Ha e al suo famoso

il mercato di Bac Ha

mercato domenicale, molto più bello e caratteristico di quello di Sapa a mio avviso, fosse anche solo perché frequentato più da locali che non da turisti. Dopo gli acquisti di rito, un saluto e un ringraziamento a Mr Nghe – il nostro tour operator che ha la sua base a Bac Ha – e un giro in piroga sul fiume Chay, siamo quindi ritornati a Lao Cai per prendere il treno notturno che ci ha riportati ad Hanoi in tempo per salire la mattina dopo direttamente sul pullman con cui abbiamo raggiunto un altro dei luoghi simbolo del Vietnam settentrionale: la Baia di Halong.

 

in piroga sul fiume Chay

Come ci spiega la nostra guida Tony, la leggenda vuole che gli isolotti di pietra calcarea che rendono tanto suggestiva la baia, che fa parte del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, siano stati originati da un drago che, scendendo dalle montagne verso il mare, li abbia creati sbattendo la coda di qua e di là. In effetti il nome stesso Ha Long significa ‘discesa del drago’.

giunca alla Baia di Halong
venditori di bibite

 

Dopo 3 ore di viaggio arriviamo ad Halong City, dove un mare di turisti affolla il porto da cui partono le giunche per le

la Grotta delle Sorprese

crociere di 1,2 o 3 giorni. Per godere al massimo della baia e riposarci un po’ dopo gli ultimi, intensi, 4 giorni avevamo scelto la crociera di 2 giorni, ma purtroppo il secondo giorno il tempo ci ha giocato un brutto scherzo costringendoci a tornare ad Hanoi con 3 ore di anticipo sul programma e non permettendoci di fare nulla se non rientrare in porto dopo colazione. Fortunatamente il giorno dell’arrivo il tempo era stupendo e una

tuffi dalla giunca

volta saliti sulla nostra Imperial Cruise ci siamo addentrati in questo luogo dall’aura mitologica insieme ad almeno un altro centinaio di giunche simili. Un giro in kayak, una visita alla Grotta delle Sorprese – una delle più grandi fra le numerose che si trovano nelle formazioni calcaree, scoperta per caso dai francesi all’epoca del loro dominio coloniale sul Viet – e siamo ritornati sulla giunca giusto in tempo per goderci un tuffo dal ponte superiore nella acqua cristallina e salatissima della baia. E poi un altro, un altro e un altro ancora.. a divertirci come bambini, su e giù fino al tramonto.

 

tramonto alla Baia di Halong

Il mega temporale che ci costringe al rientro comincia la notte stessa e ci accompagna per tutti il giorno successivo, anche durante la visita al Lago Occidentale con cui decidiamo di concludere la nostra visita alla città. Facciamo gli ultimi acquisti, recuperiamo i bagagli che da 6 giorni ci aspettano alla stazione e ci godiamo l’ultima notte ad Hanoi  nella nostra stanzetta da 15$ al Tung Trang Hotel, un alberghetto senza pretese in una vietta silenziosissima – qualità da non sottovalutare in una città trafficata com questa – a due passi da Hoan Kiem.

Hanoi ci saluta con la pioggia, esattamente come ci aveva accolti una settimana prima. Si chiude il cerchio e già stiamo volando in direzione sud. Ho Chi Minh City, arriviamo!

Frontiere: dal Marocco, alla Mauritania, Senegal e Mali per il Dogon Challenge 2010


Chi ha fretta è già morto.

Così recita un proverbio marocchino ed effettivamente una lezione che abbiamo imparato in fretta da questo Viaggio è che i ritmi africani non sono decisamente quelli milanesi. L’incontro-scontro con la burocrazia dei Paesi che abbiamo attraversato ai passaggi alle frontiere è infatti stata sicuramente la parte più provante della nostra Avventura.

Controlli stradali

Dopo il blocco alla dogana portuale a Tangeri, con tanto di scansione dell’auto, controllo passaporti e libretto, rimbalza menti vari da un funzionario all’altro e richieste di mance più o meno esose da parte di chi ci indicava anche solo qual’era la destra e quale la sinistra. In quel momento poi era ancora con noi Manu, per cui il dazio è stato più caro del previsto, ma almeno ha avuto l’ottima idea di cedere il panettone che ci eravamo portati per capodanno e non il pandoro, altrimenti avrebbe potuto rischiare di essere lasciato anche lui come ‘regalo’ al doganiere. 😉

Il secondo passaggio in frontiera, fra Marocco e Mauritania nei pressi di Nouadhibou, si è rivelato decisamente più pesante del primo. Ripartiti di buon ora dall’hotel siamo arrivati prima che aprissero gli uffici doganali e buoni buoni ci siamo messi in fila dietro ai camion e alle auto arrivate durante la notte i cui passeggeri avevano dormito lì, chi negli abitacoli, chi steso a terra con un sacco a pelo sull’asfalto ad ammirare le stelle rischiando la morte

La 'terra di nessuno' fra Marocco e Mauritania (©Teo Maj)

per assideramento, vista l’escursione termica notturna. Con la nostra proverbiale fortuna, al controllo passaporti hanno millantato improbabili problemi di connessione per cui dalle 9 che siamo entrati fra polizia, dogana e controlli non ben definiti da un metro all’altro siamo riusciti a passare il confine all’1. Superati indenni i 3 km di terra di nessuno, la famigerata pista sterrata circondata da mine, abbiamo finalmente visto sventolare davanti a noi la bandiera mauritana e l’ormai tristemente noto cartello di halte police. Altro giro, altra corsa, anche se questa volta siamo stati aiutati da Ahmed, un mauritano dall’età indefinibile (lui diceva 35, ma a noi sembra impossibile) che come molti altri ha fatto dell’aiuto ai turisti per passare la frontiera la sua occupazione, anche se lui si occupa inoltre di organizzare tour nel deserto fino a Chinguetti e all’Adrar. Peccato non aver avuto tempo, altrimenti sarebbe stato un bel giro per scoprire un po’ di più di questo Paese così controverso e poco conosciuto. Con il suo aiuto comunque i tempi al di qua del confine si sono notevolmente ridotti e in 2 ore, con 10€ di ‘tassa’ al poliziotto e il mio operato da segretaria del doganiere – che mi ha fatto compilare i campi al posto suo, non solo per i nostri passaporti ma anche per quelli di un altro gruppo invitandomi a ripassare a fine mese per lo stipendio – eravamo già in viaggio, direzione Nouadhibou.

 

Cap Blanc, Ahmed e Aury - Mauritania (© Teo Maj)

La breve tappa mauritana, durata alla fine solo un giorno e mezzo, ci ha regalato scorci profondamente contrastanti e

Sulle strade della Mauritania del sud

indimenticabili.. altri 8 Km di pista sterrata per raggiungere Cap Blanc – la punta estrema della penisola su cui si trova Nouadhibou – e ammirare finalmente l’oceano infrangersi sugli scogli e sulla chiglia di una nave arenata sulla spiaggia sottostante, il paesaggio lunare fatto di dune di sabbia bianca a perdita d’occhio e l’incontro con i cammelli lungo il parco del Banc d’Arguin, la sabbiosa e sporchissima Nouakchott – la capitale – così piena di artigiani mobilieri che mi sembrava di esser tornata in Brianza e infine le dune rossastre e i villaggi ordinati e azzurrini a sud per raggiungere il confine senegalese. Sicuramente un Paese interessante, in cui occorrerà ritornare per approfondire, ma questa volta abbiamo preferito ripartire subito all’inseguimento del gruppo lontano da noi ormai solo qualche centinaio di km.

Arrivati al confine che ormai era già quasi buio, nonostante le frasi rassicuranti dei locali a cui chiedevamo informazioni per la pista che ci avrebbe condotti a Diama, avamposto senegalese, che ci invitavano a proseguire perché la strada era bella e ci avrebbe richiesto solo un’ora, abbiamo preferito fermarci in un

La pista per Diama

alberghetto sulla strada per ripartire con più calma l’indomani mattina presto. Mai decisione fu più saggia. La pista, come abbiamo scoperto il giorno seguente, non solo era un fuoristrada in piena regola che la Freccia del Deserto ha affrontato con coraggio ma toccando a più riprese la benedetta piastra paramotore, ma era anche lunga 80 Km.. altro che un’ora! Come una bambina mi sono divertita a fare su e giù per i tracciati, slittando sulla sabbia, schivando buche, tagliando a 45° i dossi naturali e sferzando a destra e manca i cespugli ai lati della strada. Di fianco a noi, come su uno schermo televisivo, scorreva il paesaggio del Parco Naturale di Dawling. Finalmente, dopo gli ultimi 5 Km di strada a cunette che hanno seriamente messo alla prova le sospensioni, siamo arrivati all’agognata frontiera mauritano-senegalese.

 

Il Parco nazionale di Diawling

Se al di qua del confine le cose sono andate avanti velocemente, con il solo dazio di due ‘tasse’ da 10€ rispettivamente a doganiere e poliziotto, arrivati al capo opposto del ponte ci aspettava un’amara sorpresa. Da giugno, infatti, per l’ingresso in Senegal con veicoli al seguito è necessario il carnet de passage, anche se non ci è voluto molto a scoprire che con 80€ avremmo potuto farci fare un permesso di transito di 72 ore per raggiungere il Mali (soprattutto visto che gli altri team erano già passati di lì il giorno prima facilitandoci le cose). Due chiacchiere con un torinese che attraversava la frontiera in senso contrario e che aveva viaggiato più volte da quelle parti ci hanno illuminato sul metodo per evitare queste ‘tasse’ di attraversamento: chiedere sempre la ricevuta. Prima di mettere in pratica il consiglio e cominciare a ‘ribellarci’ alle usanze locali però siamo riusciti a farci fregare altri 20.000 CHF (circa 20€) da un poliziotto che ci ha fermato fuori da St. Louis per un pretestuoso eccesso di velocità misurato.. a occhio! :-/

L’incubo peggiore doveva però ancora rivelarsi.

Mbour - Senegal

Dopo averli rincorsi per due giorni, finalmente siamo riusciti a raggiungere gli altri ralliers a Mbour, a sud di Dakar, dove siamo stati ospitati per la notte all’interno di un centro in costruzione gestito da Ivan, un italiano amico del padre di Marco del team Magical Mistery Racing. La prima serata finalmente tutti insieme è trascorsa velocemente, fra i racconti del viaggio, confronti sui tragitti, le impressioni.. e anche le multe prese! Il giorno successivo siamo ripartiti alla volta di Tambacounda, dove il Team Tum Tam Marbella ha deciso di proseguire direttamente per il Mali, mentre noi e gli altri due team ci siamo diretti al parco di Niokolo Koba.

Avvistamenti al parco di Niokolo Koba

Tanto per non cambiare abitudini, i 35 Km di pista per raggiungere l’hotel all’interno li abbiamo fatti al buio, avvistando i primi animali che si lanciavano davanti alle nostre auto attraversando la strada e rendendo ancora più difficoltosa la guida. Una bella dormita, una doccia fredda e una mattinata in piroga ammirando coccodrilli, ippopotami e scimmie ci hanno rimesso in piedi, pronti per l’ennesima lunga tappa verso il confine con il Mali, che volevamo attraversare il mattino successivo.

Un’altra piccola avventura ci ha bloccato però appena partiti: sullo sterrato per uscire dal parco, infatti, abbiamo bucato! Fortunatamente almeno il tanto millantato leone presente nel parco ha deciso di lasciarci in pace, per cui sostituita la gomma bucata e la sua compagna anteriore abbiamo proseguito alla volta di Kidira su una strada che non era esattamente così bella come ce l’avevano descritta.. ma, chissà perché, ce l’aspettavamo! 🙂

 

Sulla pista per uscire da Niokolo Koba

Il buio ci ha sorpresi anche a questo giro a 2 Km dalla nostra destinazione, fra buche e deviazioni in mezzo al nulla, per

Strade senegalesi

cui abbiamo deciso di fermarci affittando la camera di due ragazzi del luogo. Per quanto all’interno di un cortile infognato in una viuzza che da soli non avremmo mai trovato immersa nel buio. la camera poteva vantare diversi comfort dalla tv a un mega stereo e alla playstation.. peccato solo che fosse un vero forno e che appena ci siamo messi a letto il ventilatore si sia rotto! Ho resistito due orette prima di correre a dormire in macchina dove, impossibilità di stendere le gambe a parte, si stava decisamente meglio.

Svegliati e partiti come al solito di buon ora, abbiamo superato in modo rapido e stranamente indolore il confine senegalese, pieni di speranza di riuscire a raggiungere Bamako entro sera. Neanche 800Km ci separavano dalla nostra meta finale per cui eravamo particolarmente eccitati e contenti di essere arrivati quasi alla fine della nostra Avventura! Arrivati alla dogana maliana con passaporti e il lassez passer fattoci avere dall’associazione, invece, siamo stati bloccati perché a quanto sembrava il documento era irregolare. Qualche minuto dopo, i ragazzi di Abarekà ci hanno raggiunti,

Pranzo tipico: riso e salsa di pomodoro o di arachidi e carne

dicendoci che avrebbero risolto loro il tutto insieme al contatto di frontiera a cui si erano rivolti regolarmente per farsi fare i documenti per tutti noi. Dopo due ore di attesa abbiamo cominciato a sdrammatizzare, ricordando le sei ore del Marocco, dopo cinque abbiamo cominciato a tentennare e nemmeno il giretto per il mercatino locale e la visita alla stazione di Radio Faleme, che dalla frontiera trasmette in Senegal, Mauritania e Mali con l’intento di unire le culture, sono serviti a distrarci. Il pranzo, finalmente locale invece del solito pollo arrosto con patatine fritte che mangiavamo da ormai cinque giorni, ci ha ridato le forze per iniziare a protestare con più veemenza contro la burocrazia e la disorganizzazione di quello che avrebbe dovuto essere l’unico passaggio in frontiera agevolato del Viaggio.

L’attesa di Godot era però destinata a continuare. Alle 15.30 ci hanno raggiunto gli ultimi due team, che avevamo lasciato il giorno prima al parco. Alla frustrazione per aver perso il ‘vantaggio’ cercato e perso cominciava ad aggiungersi il sentore che il documento fosse effettivamente irregolare e la preoccupazione di dover passare la notte in dogana, senza nessuna certezza di passare l’indomani. Dodici ore di attesa dopo la salvezza è arrivata sotto forma di angeli biondi provenienti dal nord Europa. Una famiglia di norvegesi, in viaggio per l’Africa dall’agosto scorso, ci ha svelato l’esistenza di un altro posto di polizia dall’altro lato della strada a cui, impietositi, avevano raccontato la nostra epopea e a cui avevano detto che avendo i passaporti con visto in

Visita a Radio Faleme

regola non avremmo avuto problemi a passare. Ormai stremati, sordi alle ripetute richieste da parte dei ragazzi dell’associazione che continuavano a ripeterci di aspettare e non avere fretta (?!?) abbiamo deciso di provare e nemmeno un quarto d’ora dopo sfrecciavamo finalmente in direzione di Kayes, cercando di evitare le buche e di seminare coloro i quali avrebbero dovuto aiutarci ma che, per mancanza di spirito o forse per assuefazione a una mentalità in cui l’attesa è preferita all’azione, ci avevano solo complicato le cose.

La notte di riposo a Kayes ci ha aiutato a ricaricare le batterie, in vista degli ultimi 700 km fino a Bamako. Purtroppo però, la nuvoletta di Fantozzi non aveva evidentemente ancora deciso di abbandonarci e si è presentata sotto forma di un temporale sotto il caldo sole pomeridiano di Diema. Un altro controllo doganale ci ha infatti riportato alla situazione del giorno precedente, lassez passer non valido e inizialmente obbligo di ritornare a Kayes per rifarlo. La frustrazione e la stanchezza si sono di colpo rifatte vive e dopo estenuanti trattative siamo riusciti a scoprire l’esistenza di un’altra frontiera più vicina a cui poter sistemare, finalmente, le cose!Anche in questo caso si è rivelata la visione un po’ distorta delle unità di misura africane: i 40 km indicati fino a Nioro du Sahel, avamposto al confine mauritano, erano in realtà 100, per cui il doppio fra andata e ritorno, ma sempre meno dei 350 di sola andata per tornare a Kayes.

18 ore totali, innumerevoli tentativi, scontri con la cultura locale e rischi di assalto da parte dei banditi per viaggiare col buio senza scorta dopo, siamo quindi finalmente riusciti ad avere in mano il lassez passer corretto e ad avviarci finalmente a Bamako, dove siamo arrivati alle 2.30 di notte, accolti da chi ci aspettava ore prima per festeggiare la fine del Dogon Challenge 2010.

La consegna delle Wacky T-Shirts alla scuola comunitaria di Bamako

Due orette svegli per raccontare le nostre (dis)avventure agli altri, qualche ora di riposo e il mattino dopo c’è stata la

Il centro multifunzionale per il lavoro femminile

cerimonia di chiusura del challenge, con consegna degli attestati ai partecipanti e delle macchine all’associazione.

Il pomeriggio siamo andati a visitare i progetti sostenuti da Abarekà: una scuola comunitaria per bambini dai 7 ai 15 anni – dove noi abbiamo avuto modo di tornare anche il giorno successivo durante le lezioni per distribuire le magliette Wacky Racers e i giochi che avevamo portato per i bambini – e il centro multifunzionale per il sostegno al lavoro femminile.

 

Che dire?Tutto è bene quel che finisce bene, alla fine è stata dura.. ma vuoi mette l’Avventura? 😉

La consegna della 'Freccia del Deserto'

E guardo il Marocco da.. un finestrino!


il quaderno del Viaggio

30/12/’10

Siamo arrivati ad Agadir!

In tre giorni di viaggio in Marocco il paesaggio ha già cambiato faccia innumerevoli volte. Lussurioso e verdeggiante al nostro arrivo e fra Tangeri e Chefchauan/Fès, con stradine strette e dissestate a risalire i monti del Rif, campi e uliveti a perdita d’occhio invece costeggiano l’autostrada fino a Marrakech e da qui ad Agadir un primo assaggio di lande brulle e semi desertiche, anticipazione di quello che sarà poi il Sahara occidentale, lasciano infine il posto a dolci declivi di terra rossastra su cui spunta ogni tanto qualche cespuglio.

Il Marocco. Un altro Paese che mi ha sempre affascinato e a cui da molto speravo, spero!, di poter dedicare un viaggio di quelli come dico io.. un paio di settimane, itinerario appena abbozzato ma pronto a definirsi in base all’ispirazione del momento e on the road, ovviamente!

Chefchaouan

Ad oggi le aspettative sono state ampiamente soddisfatte per cui la voglia di tornare a vedere posti che abbiamo appena lasciato ma sfiorato solo di sfuggita, o che per forza di cose abbiamo deciso di ‘saltare’, già comincia a farsi sentire. Il primo impatto con Tangeri non è stato dei migliori, avendo vinto il controllo a campione con tanto di scansione dell’auto ci hanno tenuto in ballo un’oretta buona facendosi rimbalzare il mio passaporto da un controllore all’altro e lasciandomi spesso in dubbio sull’eventualità che sarebbero ritornati o meno.. Usciti in città però devo dire che siamo riusciti a destreggiarci abbastanza agilmente fra le mmmmmille strade piene di traffico per dirigerci verso la nostra prima destinazione in terra d’Africa: Chefhaouan. Questa piccola perla azzurra e bianca incastonata fra le montagne del Rif nella provinciali Tétouan mi ha letteralmente incantato. Sarà che la prima Medina non si scorda mai.. o che il colore scelto per dipingere le mura di tutti gli edifici del centro storico è il mio preferito. L’azzurro di Chouan che, come ci spiega Mustafa, è usato perché garantisce una temperatura fresca d’estate e calda d’inverno (come sia possibile la seconda non lo so, ma tant’è, ci fidiamo) e perché tiene lontano le zanzare ed è l’unico colore di cui è possibile dipingere gli edifici nella Medina, nessuna eccezione è concessa.

Fra la prima tajine, foto e riprese, due ore passano in fretta ed è già ora di ripartire, 300 Km circa ci separano da Fès che è la nostra prossima meta. Fa buio presto e ci ritroviamo a guidare immersi nelle tenebre cercando di evitare le buche sulla strada e le persone che camminano ai lati. Intorno sembra non ci sia altro che il nulla, chissà da dove arrivano e dove stanno andando.. Arriviamo a Fès verso le 8, stanchi, sporchi, ma soprattutto affamati e decidiamo di fiondarci nel primo hotel che troviamo immediatamente fuori dalla porta della Medina, attirati dal vicino parcheggio custodito in cui mettere al sicuro la WackMobile e dal prezzo incredibilmente basso della camera: meno di 5€ a testa! Molliamo i bagagli sui letti e usciamo di corsa alla scoperta della Medina prima che chiuda tutto, lasciando Aury a

la Medina di Fès by night

riposare visto che non sta bene. La ritroveremo profondamente addormentata qualche ora, una cena a base di brochettes (spiedini) e un paio di thè alla menta (finora ancora imbattuti dai successivi!) dopo. Riusciamo a goderci un pochino meglio la Medina il mattino successivo, perdendoci fra i vicoletti ma venendo prontamente salvati da Abdul, un ragazzo che ci mostra la più vecchia moschea di tutto il Marocco, spiegandoci la funzione di alcune travi poste nei dintorni del palazzo del fondatore di Fès: far abbassare la testa in segno di rispetto anche alle persone più alte. Abdul ci porta a spasso senza chiedere nulla, mostrando, spiegando e accompagnandoci in un ottimo bar a fare colazione, per il solo piacere di parlare italiano, lingua che non viene insegnata nelle scuole marocchine. Abdul, che parla cinque lingue ma non sa né leggere né scrivere e che non è mai uscito da Fès. Ancora una volta penso a quanto sono fortunata a aver modo di viaggiare tanto e venire in contatto con realtà e persone così diverse, che mi scuotono dalla realtà ovattata e abituata ad avere tutto in cui vivo per riportarmi alle cose essenziali. Mi chiedo se riuscirei mai a vivere qui, come mi è già capitato in Vietnam, in Cambogia e mille altri posti e penso che la risposta forse non sia tanto scontata.

colazione a Fès

Il tempo è tiranno e dobbiamo rimetterci in marcia. Marrakech ci appare dopo circa sei ore di autostrada, incasinatissima, piena di auto, pedoni, motorini e calessi che sbucano e si infilano da ogni parte.. Saigon era niente in confronto, o forse no? La ricerca di un alloggio si risolve con l’aiuto di un procacciatore locale. Nessun pericolo di

la Koutoubia a Marrakech

rimanere senza qualsiasi cosa in Marocco, c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarti, anche quando non vuoi. Ci sistemiamo nel nostro riad in piena Medina, a due passi da Jmaa-el-Fna, la piazza principale della città. Di nuovo ci accampiamo (è il termine esatto considerando borse e borsoni che ci portiamo dietro) in uno stanzone con niente altro che non sia un lavandino e tre letti, ma già ci siamo abituati anche alle turche senza sciacquone. Ci immergiamo subito nella movida della Medina storica, giusto il tempo di farci fare un tatuaggio all’henné sulle mani e siamo al ristorante scelto da Manu per questa sera: la Terrasse des Epices. Il posto è molto suggestivo, una terrazza affacciata sulla Medina, peccato che di notte non si veda nulla!, ma anche molto chic e noi non siamo esattamente vestiti a modo. Nessuno però sembra preoccuparsene, sarà che basta pagare il conto, che ci costa quanto le ultime tre notti in hotel in quattro.. e forse anche di più. Torniamo in riad comunque soddisfatti da questa esperienza ‘à la page’, insolita e che rimarrà un unicum in questo Viaggio. Il mattino dopo decidiamo di andare a ritemprarci in hammam, prima di riprendere il cammino verso sud. Ne troviamo uno vicinissimo al riad e per nulla turistico, all’interno infatti nessun altro occidentale a parte noi.. anzi, per la verità proprio nessun altro a parte noi!Incredibilmente, forse, per gli orari marocchini siamo troppo mattinieri.. In realtà scopriremo dopo che nella zona maschile la situazione era diversa, ma

tatuaggi all'henné a Jmaa-el-Fna

nella parte in cui entriamo io, Simona e Aurore troviamo alla fine solo due donne marocchine che gentilmente spiegano a noi tre povere sprovvedute come funziona il tutto e si offrono (dietro pagamento.. strano!) di aiutarci con scrub e sapone nero. Il tutto in deshabillé direttamente sul freddo pavimento di piastrelle dello stanzone più interno, l’unico un po’ riscaldato.. ma non ci doveva essere una sorta di bagno turco??! Perplesse e vagamente insoddisfatte, noi, abituate ai trattamenti ‘full optional’ delle spa occidentali, non possiamo comunque fare a meno di ammettere che questa esperienza forte ci abbia decisamente rimesso in piedi dopo la notte passata insonne per colpa del russare di Manu.

Agadir ci attende e ci accoglie con il profumo (che alle cinque di pomeriggio è un po’ nauseabondo per la verità) del pesce fritto nei baracchini della zona del porto, dove poi andremo la sera. Agadir. La nostra tappa ‘comoda’. Comoda perché poco distante da Marrakech per cui siamo partiti e abbiamo viaggiato con calma per una volta e comoda perché

cena al mercato del pesce di Agadir

per la prima volta da quando siamo partiti ci siamo concessi una camera con bagno, che lusso! Anzi, due camere, visto che arriva anche Teo, giusto in tempo per festeggiare tutti insieme il capodanno. Ma un po’ di comodità ci serve, domani ci aspettano 600 Km in cinque fino a Tarfaya, ultimo avamposto prima di entrare nel Sahara occidentale vero e proprio. Il paesaggio cambia nuovamente , torna il verde, anche se di quel tono desaturato tipico delle regioni calde. Alla nostra destra ci accompagna in lontananza la linea dell’oceano mentre proseguiamo su una strada a due corsie, asfaltata sì ma piuttosto dissestata, su cui si susseguono immancabili i posti di blocco.. strano, tra l’altro, che non ci abbiano ancora fermato..

on the road

1/1/’11

Siamo arrivati a Tarfaya col buio anche oggi, pensavamo fosse una specie di piccolo accampamento invece l’abitato sembra piuttosto grande, vediamo subito un primo hotel passata la porta d’ingresso alla città, un paio di bar, un internet café e ancora gente in giro per strada. Proviamo a proseguire e arriviamo alla porta che conduce alla spiaggia. C’è un altro hotel qui, entriamo a chiedere il prezzo di una camera.. sembra lussuoso, chissà quanto ci spareranno?!

zuppa di granchio

Incredibilmente anche qui non arriviamo a 5€ a testa e in più avremo un ‘cenone’ di tutto rispetto: zuppa di granchio, che il gestore ci fa vedere ancora vivo.. è enorme e costa solo 8€ a testa!Come dire di no?

L’hotel è semi deserto, ci sono solo altre due tavolate vicino al nostro: un gruppo di 6-7 motociclisti francesi che avrebbero voluto raggiungere Dakar ma sono stati fermati alla frontiera Mauritana perché senza visti e 3 uomini che sembrano non aver nulla a che fare l’uno con l’altro. Si avvicinano incuriositi dalle nostre magliette e così facciamo conoscenza. Sono tre signori statunitensi che dopo aver

capodanno a Tarfaya

vissuto per molti anni in Eritrea dove hanno impiantato colture di cibo, si sono recentemente spostati in Sahara Occidentale per iniziare un progetto di coltura delle mangrovie utili per limitare il riscaldamento globale e aumentare il benessere delle popolazioni locali. Dividiamo con tutti il pandoro, dopodiché tiriamo mezzanotte giocando a Risiko. Vince Simo, fortunatamente abbastanza in fretta perché siamo tutti piuttosto provati dal viaggio in cinque nella Punto. Si corre a dormire, domani la sveglia suonerà di nuovo alle 6.30, faremo una breve sosta a Laayoune per lasciare Manu all’aeroporto per rientrare in Italia ed entreremo nel vivo di questo Viaggio: il deserto ci attende e noi non vediamo l’ora di scoprirlo.

tramonti marocchini