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Frontiere: dal Marocco, alla Mauritania, Senegal e Mali per il Dogon Challenge 2010


Chi ha fretta è già morto.

Così recita un proverbio marocchino ed effettivamente una lezione che abbiamo imparato in fretta da questo Viaggio è che i ritmi africani non sono decisamente quelli milanesi. L’incontro-scontro con la burocrazia dei Paesi che abbiamo attraversato ai passaggi alle frontiere è infatti stata sicuramente la parte più provante della nostra Avventura.

Controlli stradali

Dopo il blocco alla dogana portuale a Tangeri, con tanto di scansione dell’auto, controllo passaporti e libretto, rimbalza menti vari da un funzionario all’altro e richieste di mance più o meno esose da parte di chi ci indicava anche solo qual’era la destra e quale la sinistra. In quel momento poi era ancora con noi Manu, per cui il dazio è stato più caro del previsto, ma almeno ha avuto l’ottima idea di cedere il panettone che ci eravamo portati per capodanno e non il pandoro, altrimenti avrebbe potuto rischiare di essere lasciato anche lui come ‘regalo’ al doganiere. 😉

Il secondo passaggio in frontiera, fra Marocco e Mauritania nei pressi di Nouadhibou, si è rivelato decisamente più pesante del primo. Ripartiti di buon ora dall’hotel siamo arrivati prima che aprissero gli uffici doganali e buoni buoni ci siamo messi in fila dietro ai camion e alle auto arrivate durante la notte i cui passeggeri avevano dormito lì, chi negli abitacoli, chi steso a terra con un sacco a pelo sull’asfalto ad ammirare le stelle rischiando la morte

La 'terra di nessuno' fra Marocco e Mauritania (©Teo Maj)

per assideramento, vista l’escursione termica notturna. Con la nostra proverbiale fortuna, al controllo passaporti hanno millantato improbabili problemi di connessione per cui dalle 9 che siamo entrati fra polizia, dogana e controlli non ben definiti da un metro all’altro siamo riusciti a passare il confine all’1. Superati indenni i 3 km di terra di nessuno, la famigerata pista sterrata circondata da mine, abbiamo finalmente visto sventolare davanti a noi la bandiera mauritana e l’ormai tristemente noto cartello di halte police. Altro giro, altra corsa, anche se questa volta siamo stati aiutati da Ahmed, un mauritano dall’età indefinibile (lui diceva 35, ma a noi sembra impossibile) che come molti altri ha fatto dell’aiuto ai turisti per passare la frontiera la sua occupazione, anche se lui si occupa inoltre di organizzare tour nel deserto fino a Chinguetti e all’Adrar. Peccato non aver avuto tempo, altrimenti sarebbe stato un bel giro per scoprire un po’ di più di questo Paese così controverso e poco conosciuto. Con il suo aiuto comunque i tempi al di qua del confine si sono notevolmente ridotti e in 2 ore, con 10€ di ‘tassa’ al poliziotto e il mio operato da segretaria del doganiere – che mi ha fatto compilare i campi al posto suo, non solo per i nostri passaporti ma anche per quelli di un altro gruppo invitandomi a ripassare a fine mese per lo stipendio – eravamo già in viaggio, direzione Nouadhibou.

 

Cap Blanc, Ahmed e Aury - Mauritania (© Teo Maj)

La breve tappa mauritana, durata alla fine solo un giorno e mezzo, ci ha regalato scorci profondamente contrastanti e

Sulle strade della Mauritania del sud

indimenticabili.. altri 8 Km di pista sterrata per raggiungere Cap Blanc – la punta estrema della penisola su cui si trova Nouadhibou – e ammirare finalmente l’oceano infrangersi sugli scogli e sulla chiglia di una nave arenata sulla spiaggia sottostante, il paesaggio lunare fatto di dune di sabbia bianca a perdita d’occhio e l’incontro con i cammelli lungo il parco del Banc d’Arguin, la sabbiosa e sporchissima Nouakchott – la capitale – così piena di artigiani mobilieri che mi sembrava di esser tornata in Brianza e infine le dune rossastre e i villaggi ordinati e azzurrini a sud per raggiungere il confine senegalese. Sicuramente un Paese interessante, in cui occorrerà ritornare per approfondire, ma questa volta abbiamo preferito ripartire subito all’inseguimento del gruppo lontano da noi ormai solo qualche centinaio di km.

Arrivati al confine che ormai era già quasi buio, nonostante le frasi rassicuranti dei locali a cui chiedevamo informazioni per la pista che ci avrebbe condotti a Diama, avamposto senegalese, che ci invitavano a proseguire perché la strada era bella e ci avrebbe richiesto solo un’ora, abbiamo preferito fermarci in un

La pista per Diama

alberghetto sulla strada per ripartire con più calma l’indomani mattina presto. Mai decisione fu più saggia. La pista, come abbiamo scoperto il giorno seguente, non solo era un fuoristrada in piena regola che la Freccia del Deserto ha affrontato con coraggio ma toccando a più riprese la benedetta piastra paramotore, ma era anche lunga 80 Km.. altro che un’ora! Come una bambina mi sono divertita a fare su e giù per i tracciati, slittando sulla sabbia, schivando buche, tagliando a 45° i dossi naturali e sferzando a destra e manca i cespugli ai lati della strada. Di fianco a noi, come su uno schermo televisivo, scorreva il paesaggio del Parco Naturale di Dawling. Finalmente, dopo gli ultimi 5 Km di strada a cunette che hanno seriamente messo alla prova le sospensioni, siamo arrivati all’agognata frontiera mauritano-senegalese.

 

Il Parco nazionale di Diawling

Se al di qua del confine le cose sono andate avanti velocemente, con il solo dazio di due ‘tasse’ da 10€ rispettivamente a doganiere e poliziotto, arrivati al capo opposto del ponte ci aspettava un’amara sorpresa. Da giugno, infatti, per l’ingresso in Senegal con veicoli al seguito è necessario il carnet de passage, anche se non ci è voluto molto a scoprire che con 80€ avremmo potuto farci fare un permesso di transito di 72 ore per raggiungere il Mali (soprattutto visto che gli altri team erano già passati di lì il giorno prima facilitandoci le cose). Due chiacchiere con un torinese che attraversava la frontiera in senso contrario e che aveva viaggiato più volte da quelle parti ci hanno illuminato sul metodo per evitare queste ‘tasse’ di attraversamento: chiedere sempre la ricevuta. Prima di mettere in pratica il consiglio e cominciare a ‘ribellarci’ alle usanze locali però siamo riusciti a farci fregare altri 20.000 CHF (circa 20€) da un poliziotto che ci ha fermato fuori da St. Louis per un pretestuoso eccesso di velocità misurato.. a occhio! :-/

L’incubo peggiore doveva però ancora rivelarsi.

Mbour - Senegal

Dopo averli rincorsi per due giorni, finalmente siamo riusciti a raggiungere gli altri ralliers a Mbour, a sud di Dakar, dove siamo stati ospitati per la notte all’interno di un centro in costruzione gestito da Ivan, un italiano amico del padre di Marco del team Magical Mistery Racing. La prima serata finalmente tutti insieme è trascorsa velocemente, fra i racconti del viaggio, confronti sui tragitti, le impressioni.. e anche le multe prese! Il giorno successivo siamo ripartiti alla volta di Tambacounda, dove il Team Tum Tam Marbella ha deciso di proseguire direttamente per il Mali, mentre noi e gli altri due team ci siamo diretti al parco di Niokolo Koba.

Avvistamenti al parco di Niokolo Koba

Tanto per non cambiare abitudini, i 35 Km di pista per raggiungere l’hotel all’interno li abbiamo fatti al buio, avvistando i primi animali che si lanciavano davanti alle nostre auto attraversando la strada e rendendo ancora più difficoltosa la guida. Una bella dormita, una doccia fredda e una mattinata in piroga ammirando coccodrilli, ippopotami e scimmie ci hanno rimesso in piedi, pronti per l’ennesima lunga tappa verso il confine con il Mali, che volevamo attraversare il mattino successivo.

Un’altra piccola avventura ci ha bloccato però appena partiti: sullo sterrato per uscire dal parco, infatti, abbiamo bucato! Fortunatamente almeno il tanto millantato leone presente nel parco ha deciso di lasciarci in pace, per cui sostituita la gomma bucata e la sua compagna anteriore abbiamo proseguito alla volta di Kidira su una strada che non era esattamente così bella come ce l’avevano descritta.. ma, chissà perché, ce l’aspettavamo! 🙂

 

Sulla pista per uscire da Niokolo Koba

Il buio ci ha sorpresi anche a questo giro a 2 Km dalla nostra destinazione, fra buche e deviazioni in mezzo al nulla, per

Strade senegalesi

cui abbiamo deciso di fermarci affittando la camera di due ragazzi del luogo. Per quanto all’interno di un cortile infognato in una viuzza che da soli non avremmo mai trovato immersa nel buio. la camera poteva vantare diversi comfort dalla tv a un mega stereo e alla playstation.. peccato solo che fosse un vero forno e che appena ci siamo messi a letto il ventilatore si sia rotto! Ho resistito due orette prima di correre a dormire in macchina dove, impossibilità di stendere le gambe a parte, si stava decisamente meglio.

Svegliati e partiti come al solito di buon ora, abbiamo superato in modo rapido e stranamente indolore il confine senegalese, pieni di speranza di riuscire a raggiungere Bamako entro sera. Neanche 800Km ci separavano dalla nostra meta finale per cui eravamo particolarmente eccitati e contenti di essere arrivati quasi alla fine della nostra Avventura! Arrivati alla dogana maliana con passaporti e il lassez passer fattoci avere dall’associazione, invece, siamo stati bloccati perché a quanto sembrava il documento era irregolare. Qualche minuto dopo, i ragazzi di Abarekà ci hanno raggiunti,

Pranzo tipico: riso e salsa di pomodoro o di arachidi e carne

dicendoci che avrebbero risolto loro il tutto insieme al contatto di frontiera a cui si erano rivolti regolarmente per farsi fare i documenti per tutti noi. Dopo due ore di attesa abbiamo cominciato a sdrammatizzare, ricordando le sei ore del Marocco, dopo cinque abbiamo cominciato a tentennare e nemmeno il giretto per il mercatino locale e la visita alla stazione di Radio Faleme, che dalla frontiera trasmette in Senegal, Mauritania e Mali con l’intento di unire le culture, sono serviti a distrarci. Il pranzo, finalmente locale invece del solito pollo arrosto con patatine fritte che mangiavamo da ormai cinque giorni, ci ha ridato le forze per iniziare a protestare con più veemenza contro la burocrazia e la disorganizzazione di quello che avrebbe dovuto essere l’unico passaggio in frontiera agevolato del Viaggio.

L’attesa di Godot era però destinata a continuare. Alle 15.30 ci hanno raggiunto gli ultimi due team, che avevamo lasciato il giorno prima al parco. Alla frustrazione per aver perso il ‘vantaggio’ cercato e perso cominciava ad aggiungersi il sentore che il documento fosse effettivamente irregolare e la preoccupazione di dover passare la notte in dogana, senza nessuna certezza di passare l’indomani. Dodici ore di attesa dopo la salvezza è arrivata sotto forma di angeli biondi provenienti dal nord Europa. Una famiglia di norvegesi, in viaggio per l’Africa dall’agosto scorso, ci ha svelato l’esistenza di un altro posto di polizia dall’altro lato della strada a cui, impietositi, avevano raccontato la nostra epopea e a cui avevano detto che avendo i passaporti con visto in

Visita a Radio Faleme

regola non avremmo avuto problemi a passare. Ormai stremati, sordi alle ripetute richieste da parte dei ragazzi dell’associazione che continuavano a ripeterci di aspettare e non avere fretta (?!?) abbiamo deciso di provare e nemmeno un quarto d’ora dopo sfrecciavamo finalmente in direzione di Kayes, cercando di evitare le buche e di seminare coloro i quali avrebbero dovuto aiutarci ma che, per mancanza di spirito o forse per assuefazione a una mentalità in cui l’attesa è preferita all’azione, ci avevano solo complicato le cose.

La notte di riposo a Kayes ci ha aiutato a ricaricare le batterie, in vista degli ultimi 700 km fino a Bamako. Purtroppo però, la nuvoletta di Fantozzi non aveva evidentemente ancora deciso di abbandonarci e si è presentata sotto forma di un temporale sotto il caldo sole pomeridiano di Diema. Un altro controllo doganale ci ha infatti riportato alla situazione del giorno precedente, lassez passer non valido e inizialmente obbligo di ritornare a Kayes per rifarlo. La frustrazione e la stanchezza si sono di colpo rifatte vive e dopo estenuanti trattative siamo riusciti a scoprire l’esistenza di un’altra frontiera più vicina a cui poter sistemare, finalmente, le cose!Anche in questo caso si è rivelata la visione un po’ distorta delle unità di misura africane: i 40 km indicati fino a Nioro du Sahel, avamposto al confine mauritano, erano in realtà 100, per cui il doppio fra andata e ritorno, ma sempre meno dei 350 di sola andata per tornare a Kayes.

18 ore totali, innumerevoli tentativi, scontri con la cultura locale e rischi di assalto da parte dei banditi per viaggiare col buio senza scorta dopo, siamo quindi finalmente riusciti ad avere in mano il lassez passer corretto e ad avviarci finalmente a Bamako, dove siamo arrivati alle 2.30 di notte, accolti da chi ci aspettava ore prima per festeggiare la fine del Dogon Challenge 2010.

La consegna delle Wacky T-Shirts alla scuola comunitaria di Bamako

Due orette svegli per raccontare le nostre (dis)avventure agli altri, qualche ora di riposo e il mattino dopo c’è stata la

Il centro multifunzionale per il lavoro femminile

cerimonia di chiusura del challenge, con consegna degli attestati ai partecipanti e delle macchine all’associazione.

Il pomeriggio siamo andati a visitare i progetti sostenuti da Abarekà: una scuola comunitaria per bambini dai 7 ai 15 anni – dove noi abbiamo avuto modo di tornare anche il giorno successivo durante le lezioni per distribuire le magliette Wacky Racers e i giochi che avevamo portato per i bambini – e il centro multifunzionale per il sostegno al lavoro femminile.

 

Che dire?Tutto è bene quel che finisce bene, alla fine è stata dura.. ma vuoi mette l’Avventura? 😉

La consegna della 'Freccia del Deserto'